Grazie alla collaborazione tra Labsus e Indire è stato realizzato il Rapporto 2022 sull’Amministrazione condivisa dal titolo: Le scuole: da beni pubblici a beni comuni. https://www.labsus.org/2023/03/la-scuola-migliore-e-quella-condivisa/, (presentato il 28 marzo e disponibile sui canali social dell’associazione).
Sono cittadini, ragazzi e ragazze, professionisti, istituzioni che creano occasioni di incontro e di cura (102 Patti) nell’interesse delle comunità
di Vittorio Sammarco
Cambiare il modo di fare scuola (e di pensarla), per avviare progetti, maturati e co-progettati in comunità, per rigenerare la democrazia stessa. Progetto ambizioso e realista che, tarato sui reali bisogni di ragazze/i genitori, professionisti, non solo addetti ai lavori ma anche semplicemente interessati all’ambito educativo, e in stretto contatto sul territorio dove la scuola vive e si proietta, prova a dare una svolta al rapporto tra cittadini e istituzioni.
È la base dell’indagine, nata con l’obiettivo di approfondire lo stato di attuazione dell’Amministrazione condivisa dei beni comuni. Il Rapporto 2022 di Labsus (www.labsus.org/) – realizzato in collaborazione con Indire (l’Istituto Nazionale di Documentazione, Innovazione e Ricerca Educativa, che da quasi 100 anni il punto di riferimento per la ricerca educativa in Italia. www.indire.it/) quest’anno mette al centro l’educazione come bene comune, attraverso un’indagine effettuata su ben 102 Patti, per un totale stimato di oltre 10.000 attori coinvolti. Titolo: Le scuole: da beni pubblici a beni comuni. Ossia: il bene pubblico scuola, che si trasforma negli orari disponibili (senza perdere funzione e valori, anzi ampliandolo e sviluppandone pienamente identità e funzione) in bene comune: cioè spazio plurale, luogo in cui promuovere un approccio intrecciato delle politiche, combinando ricerca, intervento, formazione come argine alla vulnerabilità di quei territori dove povertà educativa e povertà materiale sono il risultato della cronica mancanza di servizi sociosanitari, servizi per l’impiego, servizi culturali, ecc. Il tutto con la partecipazione attiva di tanti volontari.
Il progetto nasce sulla scia dell’Osservatorio nazionale dell’Osservatorio Nazionale dei Patti di collaborazione e i Patti educativi di comunità (https://piccolescuole.indire.it/iniziative/osservatorio-patti educativi-territoriali/) pensato e realizzato con l’ente di INDIRE, nato soprattutto per raccogliere esperienze e buone prassi, costruire percorsi formativi specifici per le scuole, sperimentare processi e strumenti collaborativi per sostenere la permanenza di sistemi formativi allargati.
L’Osservatorio Nazionale si configura come un dispositivo unico nel panorama italiano in grado di raccontare una geografia aggiornata delle alleanze che riposizionano la scuola al centro di processi di innovazione e rigenerazione a cui tutta la comunità contribuisce – afferma Cristina Grieco presidente di INDIRE -. Il lavoro di raccolta e di analisi che impegna INDIRE e Labsus permette di condividere con i territori modelli esemplari, di diversa complessità, ed occasioni formative per fare del Patto uno strumento istituzionale alla base di una scuola che incontra gli scenari di futuro dell’OCSE e che risponde ad una idea di learning hub».
“Per crescere un bambino ci vuole un intero villaggio”
Obiettivo ambizioso, ma non per questo teorico. Realizzato concretamente attraverso due canali: con i primi 50 patti esplorati (quelli di Collaborazione), che hanno l’obiettivo principale di favorire la partecipazione attiva di tutta la comunità educante – cittadini attivi, famiglie, gruppi informali, organizzazioni del terzo settore – alla vita della scuola e all’esperienza educativa dei minori, e di portare le comunità scolastiche a fare pratica di cittadinanza anche fuori dai recinti scolastici, ad esempio prendendosi cura degli spazi pubblici di prossimità. E con i secondi 52, (i cosiddetti Patti educativi di comunità), in particolare per le scuole delle aree interne, e che nel tempo hanno consolidato l’alleanza educativa con il territorio e i soggetti presenti, in alcuni casi riuscendo proprio a cambiare il modo di “fare scuola”, nelle diverse esperienze locali e migliorando la condizione di isolamento sociale e culturale di alunni e docenti.
Risultati dell’indagine (di qualità e non solo numerica): è un panorama molto variegato, ricco e promettente di pratiche di cura delle scuole e di amministrazione condivisa dell’educazione. Alcuni caratteri di queste comunità di cura evidenziano aspetti importanti rispetto alla qualità delle alleanze e delle progettualità, alle aspettative, alle motivazioni e al grado di soddisfazione dei cittadini coinvolti. Gli obiettivi dei Patti sono stati raggiunti, almeno parzialmente, per il 92% degli intervistati. “Sono complessivamente soddisfatta/o di come sta andando il patto”: risponde così l’86% dei rispondenti. Dato indicatore di passione e coinvolgimento diretto, e dell’efficacia dei progetti.
Di fronte a queste risposte: la scuola si mostra come una comunità ampia, e i patti hanno il vantaggio di comunicare e favorire la collaborazione con una comunità ricca ed eterogenea che è già costituita e che incarna almeno in parte obiettivi e valori condivisi, dicono le curatrici del Rapporto.
La condivisione alla base: numeri e obiettivi
Sono impegnate persone di tutte le età, equamente distribuite, con prevalenza di adulti dai 30 ai 60. Buona anche la presenza di bambini e ragazzi nel partecipare alla realizzazione dei patti: bambini (72%) e adolescenti (60). Tra le prime sei categorie di persone che si prendono cura della scuola sono: associazioni di volontariato, cooperative sociali, insegnanti, dirigenti, genitori. Significativa la partecipazione di cittadini singoli (70,2%), tra i quali anche studenti e gruppi informali (57,4). Tra gli altri, sono stati indicati anche pedagogisti/e, consulenti esperti, educatori, assistenti sociali, pediatri. Sono presenti persone di etnie diverse, sia uomini che donne in egual misura. Dato negativo: la distribuzione geografica, la mappa dei Patti di collaborazione è sbilanciata a Nord, segno che in questi territori del nostro Paese la presenza maggiore di un Regolamento per l’Amministrazione condivisa incentiva la realizzazione dei Patti.
Gli obiettivi. Obiettivo principale è senza dubbio quello di valorizzare, recuperare e rivitalizzare spazi aperti pubblici (aree verdi, parchi, spazi dismessi …), creare nuovi spazi di socialità ma anche occasione di esperienza di cittadinanza attiva e di educazione civica. Alcuni obiettivi possono essere riportati all’Agenda 2030 dell’ONU per lo Sviluppo Sostenibile, e ai suoi 17 goals: ai primi posti si trovano buona salute, benessere e qualità dell’educazione, riduzione delle disuguaglianze e costruzione di città e comunità sostenibili. È importante, inoltre, il fatto che i patti appaiono economicamente sostenibili, (e che in continuità con i risultati dei precedenti Rapporti, il fattore economico non si rivela problematico né prioritario, per l’84% delle risposte); e che i patti interagiscano con il percorso formativo della scuola, per il 64% delle risposte.
Il Futuro. Sì, rinnoverebbe il Patto, il 90% dei rispondenti. E con entusiasmo indicano anche quale potrebbe essere un nuovo obiettivo in aggiunta a quelli esistenti: la volontà di implementare le attività già realizzate o l’aspirazione ad aumentare le azioni estendendole ad un territorio più vasto per consolidarne la presenza.
I patti educativi: la scuola si apre al territorio
«La scuola è uno spazio plurale, luogo in cui promuovere un approccio intrecciato delle politiche combinando ricerca, intervento, formazione, viste soprattutto come argine alla vulnerabilità di quei territori dove povertà educativa e povertà materiale sono il risultato della cronica mancanza di servizi sociosanitari, servizi per l’impiego, servizi culturali, ecc. », sono le parole del presidente di Labsus Pasquale Bonasora, sostenute dal secondo capitolo della ricerca, quello sui 52 patti educativi di comunità. Risultati, anche in questo caso, ampiamente positivi.
Le regioni con il maggior numero di esperienze sono Puglia e Piemonte, seguono Liguria e Lombardia. Qualche presenza anche al Sud (Sicilia, Sardegna, Campania, Basilicata). Gli obiettivi: Inclusione e socializzazione (31,8%); Laboratori di contrasto alla dispersione scolastica (22%); Recupero degli apprendimenti di base (11,4). Pochi, ma importanti: Accoglienza della disabilità e progettazione (4,5); Territorio e Sostenibilità (3,8).
Da valutare i diversi i livelli di complessità dei Patti: 10 sono a “bassa complessità”, cioè presentano azioni limitate e scuole che faticano a sfruttare questo strumento per instaurare relazioni strutturate col territorio. Non sono poco rilevanti: ma non hanno le caratteristiche che aiutano le scuole a ripensare la propria modalità di struttura. Possono però rappresentare un primo passo per instaurare rapporti più strutturati col territorio. Quelli a “media complessità” sono pari al 52%), e rappresentano il nucleo più numeroso delle esperienze. Obiettivo primario è il contrasto alla povertà e all’emergenza educativa. Le reti che costituiscono sono generalmente ampie: è sempre presente l’ente locale, insieme alle associazioni di volontariato, parrocchie e cooperative sociali. Non sembrano, ancora pronte per delineare un cambiamento profondo nel modello di progetto educativo dominante. Infine, i Patti ad “elevata complessità” sono 15, pari al 28,9% dei Patti osservati. Gli istituti scolastici coinvolti sono in prevalenza in Puglia e in Liguria. Qui emerge il tentativo di allacciare sinergie profonde col territorio e la comunità che possano agire come leva di cambiamento per la scuola, sia a livello organizzativo che di offerta formativa. Sono significativi gli esempi dell’Istituto Comprensivo “Italo Calvino” e dell’Istituto Comprensivo “A. Diaz” di Vernole.
Rita Locatelli (ricercatrice in pedagogia sociale all’Università Cattolica di Milano), afferma che: «La necessità per la scuola di aprirsi al territorio, di attribuire una funzione educativa ai diversi contesti in cui l’apprendimento si sviluppa non è più una necessità contingente, ma rappresenta la risposta pedagogica e didattica alle nuove domande sociali e culturali».
Non è solo un auspicio, allora, sottolinea Bonasora: la scuola in molti casi già è un «luogo della relazione intergenerazionale per la salvaguardia di quei beni comuni naturali che vanno tutelati per le generazioni future e i beni comuni immateriali che hanno bisogno della genialità e creatività dei più giovani per essere rigenerati».
Può essere anche un modo di rinnovare la politica?