Se la Chiesa deve supplire al vuoto della politica

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In risposta all’editoriale di Giuliano da Empoli sul Messaggero

 

Sulle colonne del Messaggero del 14 agosto 2015, Giuliano da Empoli si esercita in un editoriale critico nei confronti della Chiesa e di monsignor Galantino, colpevoli di essere ritornati sulla strada dell’ingerenza in politica come ai tempi della Cei guidata da Ruini. Come è noto, Galantino ha utilizzato parole dure sul tema dei migranti, non risparmiando critiche forti alla politica tutta, sia essa di governo che di opposizione.  Da Empoli enuclea tre progressivi elementi di critica alla Chiesa. La prima, è che la Cei si sarebbe infilata in una diatriba verbale che ha prodotto una estremizzazione delle posizioni, prestando il fianco alla Lega e al Movimento Cinque Stelle. La seconda è di lesa maestà nei confronti del Governo, che tanto sta facendo sui migranti a dispetto dell’impegno sottodimensionato della Chiesa rispetto alle proprie forze. Argomento impregnato di carica ideologica: esso sottende l’idea che le organizzazioni religiose debbano impegnarsi nella sfera dell’accoglienza, ma non si debbano permettere di incidere sulle modalità con le quali lo Stato legifera e affronta il tema migratorio. È una visione delle organizzazioni religiose, e del variegato mondo no profit nel suo complesso, come strumenti di attenuazione dei fallimenti dello Stato e del mercato, ma che ne delegittima un proprio ruolo all’interno dell’arena pubblica di formazione delle policies. Un po’ come dire: fate la carità, ma non chiedetevi perché esistono le diseguaglianze. Questo secondo argomento getta le basi per il nucleo duro dell’argomentazione di da Empoli, che ruota attorno alla distinzione tra sfera morale e sfera politica: ben venga che la Cei, ma soprattutto Papa Francesco, orientino le coscienze con esortazioni retoriche e spirituali, ma non provino a tradurre queste esortazioni in tentativi di incidere sulle politiche pubbliche, perché –  ma non si capisce come – ciò che nella sfera spirituale è moralmente incontestabile appena prende le sembianze della politica si fa demagogia. Scrive testualmente da Empoli: “se l’esortazione a spalancare le porte a tutti i migranti, senza distinzione alcuna, si trasferisce dalla sfera religiosa a quella delle policies, rischia di cadere nell’ingerenza, e soprattutto nella demagogia. Nessuno può oggi pensare che il modo realisticamente migliore di gestire una delle ondate migratorie più imponenti della storia dell’umanità sia quella di fare entrare tutti”. Argomento molto vicino a quello espresso da Marcello Pera sul Corriere della Sera del 12 agosto 2015, secondo il quale la carità e la misericordia sono “doveri individuali che non vanno trasformati in diritti degli altri.”, altrimenti si passa dalla spiritualità alla politica.

Per considerare demagogiche le posizioni della Chiesa, andrebbero innanzitutto dimostrati con i numeri i caratteri emergenziali dei fenomeni migratori contemporanei, cosa che ad esempio Becchetti, su l’Avvenire del 14 agosto, fa con il risultato opposto: di dimostrare che ciò che sta accadendo è alla portata di politiche migratorie tese all’accoglienza e al governo dei flussi. Guardando i dati, i numeri drammatici non sono tanto quelli di chi arriva in Occidente, ma quelli di coloro che non ce la fanno ad arrivare. Parliamo di esseri umani che hanno perso la vita nella ricerca di una vita migliore, con la complicità di Governi democratici che di fronte all’immane tragedia rifiutano di aprire corridoi umanitari. In secondo luogo, bisogna spiegare quale alternativa reale si individua per non “fare entrare tutti”. Quali distinguo mettiamo in campo? E quali mezzi e pratiche concrete? “Che cosa si dovrebbe fare? Lasciarli affogare? Speronarli? E una volta raccolti dove li si porta? <<Indietro>>: indietro dove? Sulle coste libiche che sono terra di nessuno?” si chiede un non certo demagogo Galli della Loggia sul Corriere del 12 agosto 2015.

Inchiodare la politica e i Governi alla verità e alle proprie responsabilità, soprattutto quando di mezzo c’è la nuda vita di migliaia di esseri umani, è ciò che la Chiesa deve fare, con tutta la parresia di cui è capace. Se la Chiesa, sul tema primo e ultimo della vita e della dignità degli esseri umani, è costretta a supplire al vuoto della politica e ad una società civile troppo silente, vuole dire che la politica ha perso il senso di se stessa. Se è la Chiesa a dover difendere i nostri principi costituzionali di accoglienza (Antonio Maria Mira sull’Avvenire del 9 giugno 2015), entrando con forza nel dibattito pubblico, significa che qualcosa di più grave è successo in questi anni: che tanto ha fatto la politica per i diritti delle merci, che scorrazzano libere in giro per la Terra, quanto poco ha fatto per quelli delle persone. Ma questa, caro Da Empoli, è nuovamente demagogia.

 

Giovanni Carrosio

 

One Comment

  1. Ci sarà una ragione se nella polemica aperta sulle dichiarazioni e sugli interventi di Mons. Galantino i giornali, i giornalisti, gli opinionisti che fanno riferimento all’area del centro destra sono stati i più polemici e critici, anche tra chi non ha perso occasione per dichiararsi cattolico. Ci sono state voci discordanti pure nel centro sinistra, ma di gran lunga molto meno pesanti e sostanzialmente improntate alla difesa dell’azione del Governo.
    E’ la prima volta che si usano toni così duri nei confronti dei Vescovi in cui si avverte, anche se non è palese, una critica al pontificato di Papa Francesco.
    Ci troviamo di fronte a un cambio di impostazione destinato ad avere delle ricadute sulla politica italiana.
    Da sempre, le aree del moderatismo conservatore e la destra, si sono acriticamente schierate con le dichiarazioni della Chiesa. Quanto sta avvenendo, dimostra che la religione cristiana è pensata come una sorta di religione civile, capace di generare e sostenere un idea conservatrice dell’ordine economico e politico. Ora ci si trova a dover fare i conti con una visione fondata sulle indicazioni del Concilio Vaticano II e, in particolare, della Gaudium et Spes. Secondo la quale la Chiesa e la comunità politica sono indipendenti e autonome nel proprio campo, ma l’una e l’altra, devono collaborare a vicenda a vantaggio di tutti, anche se a titolo diverso: “La comunità politica e la Chiesa sono indipendenti e autonome l’una dall’altra nel proprio campo. Tutte e due, anche se a titolo diverso, sono a servizio della vocazione personale e sociale delle stesse persone umane. Esse svolgeranno questo loro servizio a vantaggio di tutti, in maniera tanto più efficace quanto meglio coltiveranno una sana collaborazione tra di loro, secondo modalità adatte alle circostanze di luogo e di tempo”. … ““Ma sempre e dovunque, e con vera libertà, è suo diritto predicare la fede e insegnare la propria dottrina sociale, esercitare senza ostacoli la propria missione tra gli uomini e dare il proprio giudizio morale, anche su cose che riguardano l’ordine politico, quando ciò sia richiesto dai diritti fondamentali della persona e dalla salvezza delle anime”, una definizione che a mio parere ha fondato la moderna laicità positiva.
    Per questo ritengo che noi cristiani dobbiamo essere molto grati a Mons. Galantino e alla sua “ruvidezza” quando invita la politica a non giustificare nessuna situazione di ignavia, di inumanità, coprendolo con il ricorso alla religione. Ci dobbiamo sempre ricordare la risposta che il cardinale Manning che si era a suo tempo schierato per la difesa degli operai e le nascenti Trade Union a chi lo accusava di socialismo rispondeva “no cari signori, io faccio del cristianesimo “, e credo che sia quanto potrebbe oggi dire il Segretario della Cei-
    Per molti cattolici italiani questo è sicuramente un passaggio difficile. Forse perché il cattolicesimo italiano del secondo dopoguerra è stato e in alcuni ambiti è tuttora tentato da un’ottica teologico-politica che per sua natura non può che essere segnata da un moderarismo conservatore. Oggi, facendo tesoro delle esperienze passate, servono dei cristiani capaci in autonomia e in libertà ad affrontare le questioni sociali del nostro tempo. Quando la società industriale inizio ad affermarsi e a distruggere il vecchio ordine un papa ottantenne ebbe il coraggio, scandalizzando i conservatori e reazionari del suo tempo, di affrontare, con l’enciclica “Rerum Novarum”, la questione operaia e lo sfruttamento capitalistico. Fece tremare, come fa dire Bernanos nel “Diario di un curato di campagna” al decano di Torcy,” ci è parso di sentirci tremare la terra sotto i piedi”.

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