L’articolo è uscito sul portale di Articolo 1 – Movimento democratico progressista. L’autore è stato deputato dell’Ulivo e capo della segreteria politica del Partito Popolare Italiano; è presidente della Associazione G. Dossetti “Per una nuova etica pubblica”
Sinistra o centrosinistra? Centrosinistra tutto attaccato o centro-sinistra col trattino? Lungi da me l’idea di riportare indietro le lancette della storia riesumando dibattiti che si facevano al tempo dell’Ulivo. Ma mi è stato insegnato che nomina sunt consequentia rerum e pertanto credo che nelle definizioni della politica sia meglio essere precisi, perché le fondamenta e i relativi messaggi sono diversi a seconda che diciamo sinistra, centrosinistra o centro-sinistra. O, come personalmente preferisco: sinistra plurale, che mi sembra essere, per il nuovo Ulivo in costruzione, la formula più rispondente a questo nostro tempo di oscene e crescenti disuguaglianze, povertà diffusa e svalutazione del lavoro e dei suoi diritti.
La confusione e le oscillazioni lessicali non aiutano. Rischiano anzi di rendere debole il messaggio e di lasciare in mezzo al guado quanti sono animati dalla volontà di ricostruire il campo progressista. Tanto più che in Italia sta per tornare il sistema proporzionale e non avrebbe senso dar vita a formazioni di centrosinistra, con o senza il trattino. È la sinistra plurale il nuovo orizzonte cui tendere, una sinistra cioè ricca di varie componenti culturali che abbiano pari dignità. Su queste colonne ne ha parlato, ad esempio, Ernesto Paolozzi a proposito del liberalismo, negando correttamente che esso possa essere confuso con il “darwinismo sociale” che sta alla base del pensiero unico neo-liberista.
Queste componenti culturali non devono perciò sentirsi ospiti della vecchia sinistra, sia detto con rispetto e simpatia, di derivazione marxista. Esse dovranno essere invece co-protagoniste di un nuovo progetto politico che metta al centro gli articoli 1 e 3 della Costituzione: la Repubblica democratica fondata sul lavoro, la Repubblica che rimuove gli ostacoli di ordine economico e sociale che limitano di fatto la libertà e l’eguaglianza dei cittadini. Un nuovo Ulivo, in altri termini, che faccia tesoro dei limiti storici del primo Ulivo e ponga al centro della sua azione le grandi questioni del lavoro, delle disuguaglianze e della corruzione.
Un discorso particolare merita, dal mio punto di vista, il ruolo dei cattolici democratici e/o sociali. All’epoca dell’Ulivo il dibattito sul centrosinistra tutto attaccato o centro-sinistra col trattino riguardava essenzialmente la componente cattolica dell’Ulivo, soprattutto il Partito Popolare che ne era quella più robusta. All’interno di quel partito prevalevano coloro che sottolineavano, con il trattino appunto, il permanere di una sostanziale differenza tra il centro e la sinistra, ma c’era anche una forte minoranza che guardava già allora al partito unico, al partito dell’Ulivo. Il Pd è figlio di questa seconda linea, che ha seguito, con luci e ombre, fino al disastroso avvento di Matteo Renzi.
La maggior parte dei cattolici ulivisti tendenti al partito unico non erano allora, e non sono adesso, donne e uomini di centro. Erano e sono persone collocate da sempre a sinistra, se pluralisticamente intesa. Hanno la stessa passione per l’eguaglianza, la stessa passione per la Costituzione, e lo hanno dimostrato in occasione del referendum del 4 dicembre 2016. Hanno la stessa passione per la “democrazia sostanziale” cara a Dossetti; lo stesso bruciante rammarico per lo sfregio costituzionale del 2012 all’articolo 81, l’obbligo in Costituzione del pareggio di bilancio.
Uomini come Dossetti rientrano a pieno titolo nell’ideale pantheon della sinistra italiana. Egli criticava il socialismo di radice marxista, ma simpatizzava per i laburisti inglesi e si definiva anche lui un socialista quando scriveva, nel 1945, che i partiti socialisti europei (non avevano ancora conosciuto gli Schroeder, i Blair e gli Hollande, per loro fortuna!) erano orientati verso forme nuove e orizzonti più aperti rispetto al materialismo storico: “Sono gli orizzonti di un socialismo spirituale e cristiano, quel socialismo che non solo noi vogliamo, ma che fermamente crediamo sarà la grande conquista dell’Europa di domani”. Così scriveva Dossetti, che leggeva Keynes e Beveridge e non a caso aprì le pagine di Cronache sociali all’economista antiliberista Federico Caffè, divulgatore in Italia del pensiero economico del keynesiano. Così come era intriso di keynesismo il famoso saggio di Giorgio La Pira, L’attesa della povera gente, apparso nel marzo 1950 sulla rivista della corrente dossettiana.
Oggi il magistero di papa Francesco, pur senza volergli affibbiare risibili etichette, rilancia il ruolo del cattolicesimo democratico, come ha indicato tra gli altri Lino Prenna nel recente convegno organizzato dalla Rete c3dem e dal circolo Il Borgo a Parma. A partire dalla “catechesi politica” contenuta nella Esortazione apostolica Evangelii gaudium, dal radicalismo evangelico dei temi che il Pontefice pone, dalla cultura della mediazione e della politica come “attività prudenziale” che egli indica come il metodo più idoneo alla realizzazione del bene comune. “Una fede autentica, che non è mai comoda e individualista, implica sempre un profondo desiderio di cambiare il mondo, di trasmettere valori, di lasciare qualcosa di migliore dopo il nostro passaggio sulla terra …”, ha scritto Francesco nella Evangelii gaudium. Parole che Sandro Campanini, coordinatore della Rete c3dem, ha letto come un autentico manifesto per l’impegno politico dei cristiani.
Che tipo di impegno? Se guardo alle macerie sociali prodotte dal pensiero unico neoliberista, ai suoi tratti fondamentalmente illiberali e autoritari (sono d’accordo con Roberto Bertoni che su questo magazine lo ha definito “forma contemporanea di fascismo”) non mi viene da pensare, per i cattolici democratici e sociali, a scelte centriste, ossia alle mezze misure, ma ad una cesura, a una forte discontinuità con idee e prassi che in questi anni hanno reso il centrosinistra succube del neoliberismo. E in questo senso ho letto le belle tesi programmatiche assemblate per Articolo Uno-Mdp da Vincenzo Visco.
Avevo cominciato a scrivere queste brevi riflessioni quando ha fatto irruzione sui social l’appello di Anna Falcone e Tomaso Montanari Un’alleanza popolare per la democrazia e l’uguaglianza pubblicato su Il Manifesto. È un appello per l’unità che in quanto tale credo trovi d’accordo quanti hanno a cuore la nuova sinistra plurale di cui c’è bisogno. Se sgombriamo il campo dai tatticismi lessicali e ci riconosciamo tutti quale sinistra di governo, ragionevole, come ama chiamarla Pisapia (che non significa annacquata!), inclusiva, fondata su pochi ma incisivi punti programmatici, come quelli delineati da Bersani a Di martedì, possiamo fare il salto di qualità che i democratici e progressisti italiani giustamente reclamano.
Paolo Palma
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