“Sorores carissimae et admirandae”. La presenza femminile al Vaticano II

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La più vivace delle uditrici laiche fu senza dubbio la spagnola Pilar Bellosillo, presidente dell’Unione mondiale delle organizzazioni femminili cattoliche (UMOFC). Per ben due volte, in nome del divieto paolino di 1 Cor. 14,34 “le donne tacciano in assemblea”, citato dal segretario del Concilio, Pericle Felice (pare, in difficoltà a rivolgere la parola alle uditrici, anche solo per salutarle), le fu impedito di parlare in assemblea generale, nonostante fosse stata espressamente nominata portavoce del suo “gruppo di studio”. Il secondo rifiuto le fu opposto verso la fine del Concilio: nell’occasione era stata semplicemente incarica di esprimere ai padri conciliari la gratitudine sua e delle colleghe per il privilegio loro accordato di partecipare al Concilio. Ancora una volta il rifiuto fu motivato con l’anacronistico e ridicolo “mulieres in ecclesiis taceant”. Al grande teologo domenicano e perito conciliare Yves Congar che, nell’ambito del gruppo sullo schema dell’apostolato dei laici, voleva inserire nel documento un’elegante espressione con la quale le donne erano paragonate alla delicatezza dei fiori e ai raggi del sole, la (fisicamente) minuta ma energica uditrice australiana Rosemary Goldie disse, a mo’ di rispettosa tiratina d’orecchie: “Padre, lasci fuori i fiori. Ciò che le donne vogliono dalla Chiesa è di essere riconosciute come persone pienamente umane”.

La messicana Luz Maria Longoria, presente al Concilio con il marito Josè Alvarez Icaza, pose in discussione quello che i manuali di teologia, in uso prima del Concilio, definivano fini “primari” e “fini secondari” del matrimonio, dove primaria era la procreazione dei figli e secondario il rimedio alla concupiscenza dell’atto sessuale. La copresidente del MFC (“Movimiento Familiar Cristiano”), molto attiva all’interno del gruppo che doveva esaminare lo “schema XIII”, chiese di liberare l’atto sessuale dal senso di colpa e di restituire ad esso la sua insita motivazione d’amore. Ad un padre conciliare disse: “Disturba molto a noi madri di famiglia che i figli risultino frutto della concupiscenza. Io personalmente ho avuto molti figli senza alcuna concupiscenza: essi sono il frutto dell’amore”.

*Testo tratto dall’articolo di Andrea Lebra (in “Settimana” n.32) Sorores carissimae et admirandae

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