L’autore, trent’anni fa presidente fucino, già senatore del Pd nella passata legislatura, è docente di Diritto pubblico comparato all’Università La Sapienza ed è membro della Commissione per le Riforme Costituzionali
Leggo con attenzione le riflessioni relative al prossimo convegno di Bologna. Avendo finito da poco di leggere il libro di Lorenzo Biondi sulla Lega Democratica (“Dalla Democrazia Cristiana all’Ulivo: una nuova classe dirigente cattolica”, Viella, Roma, 2013), vorrei proporre qualche riflessione a partire da lì, da quella che è stata la più feconda aggregazione cattolico democratica in termini di elaborazione di idee.
A me sembra che la parte di eredità più feconda sia quella sul ruolo parziale della legge nella società democratica e pluralistica in materia di diritti, affermato (soffertamente e senza volontà ribellistiche) col No al referendum sul divorzio e con un certo tipo di atteggiamento in quello sull’aborto, distinto rispetto ai filoni più intransigenti, già allora sostenitori di principi non negoziabili ante litteram.
Sotto l’apparente unità di voto che comprendeva tutta la Lega e quasi tutto il cattolicesimo democratico (Sì al referendum del Movimento per la Vita e No a quello radicale), la Lega Democratica e l’associazionismo cattolico democratico fecero di fatto campagna soprattutto contro il referendum radicale che intendeva passare dalla depenalizzazione alla liberalizzazione dell’aborto, con una vicinanza obiettiva ai settori più moderati che difendevano la legge. Viceversa i settori di cultura più intransigente, più legati già allora, per così dire, alla retorica dei princìpi non negoziabili, fecero campagna soprattutto a favore del referendum del Movimento per la Vita, quasi equiparando chi difendeva la legge ai radicali che la volevano snaturare.
Il riconoscimento posteriore solenne all’impostazione più pacata e ragionevole – che d’altronde traeva alimento da un lavoro non del tutto divaricante, tranne il voto finale, che avevano sviluppato in Parlamento sia i parlamentari della sinistra dc (ad esempio in materia di obiezione di coscienza) sia alcuni dei cattolici eletti a sinistra (sulla centralità della prevenzione) – venne poi dal cardinale Ruini, subito dopo il voto sulla procreazione assistita, quando invitò a non pensare di modificare la legge 194, ma ad attuarne fino in fondo la parte preventiva. Peccato che lo stesso cardinale Ruini avesse invece preteso in contemporanea di determinare in prima persona i confini restrittivi di una mediazione legislativa che, come prevedibile, non avrebbero poi retto di fronte al controllo di costituzionalità.
Segnalo l’attualità di questo aspetto perché resta in agenda il tema potenzialmente divisivo del necessario riconoscimento delle convivenze (tra cui anche quelle di coppie omosessuali) dopo il monito chiaro della Corte costituzionale già nel 2010. Sarebbe un bene per tutti se venisse varata consensualmente una legislazione sulle unioni civili in parallelo all’aggiornamento della legislazione favorevole alle famiglie anziché opporre i due fenomeni e/o incentivare nel Paese una lotta tra due minoranze intense, favorevole e contraria al matrimonio omosessuale, sotto lo sguardo perplesso del resto del Paese, come avvenuto in Francia.
Analogo metodo di criteri adeguati per agire nella complessità andrebbe anche adoperato sugli altri temi. Già la Lega Democratica, come sottolinea Biondi, fu attraversata dalla tentazione di un intransigentismo di sinistra, speculare su altri temi a quello del cattolicesimo conservatore, sia nel caso degli euromissili sia in quello del referendum sul costo del lavoro, scavalcando la fatica di una cultura di governo che ha presente il fine ma che non rifiuta di misurarsi con mezzi e schieramenti imperfetti, come amava ripetere Mounier a partire dalla riflessione di Landsberg.
L’articolo 11 della Costituzione non esclude il legittimo uso della forza secondo criteri di ragionevolezza e proporzionalità, non sfocia in forme di pacifismo astratto e disincarnato, così come la difesa del potere di acquisto delle fasce deboli andava tutelata non più con l’indicizzazione ma con la contrattazione collettiva e l’inflazione programmata.
Allo stesso modo oggi non si possono accettare acriticamente letture apocalittiche della crisi, della globalizzazione, decrescite felici solo per chi è al riparo dei conflitti redistributivi (cioè non certamente le fasce deboli della popolazione), critiche astratte a un liberismo sconosciuto almeno in Italia (dove una spesa pubblica e una tassazione altissima convivono e contribuiscono a determinare livelli di disuguaglianza inaccettabili), appelli alla ripresa di un ruolo troppo forte dello Stato, quando lo Stato è ormai solo uno degli attori dell’azione pubblica.
La logica della mediazione politica e del riformismo rigoroso sui fini ma proprio per questo altrettanto discontinuo sui mezzi, quello che ci ha insegnato sin dalla Lega Democratica Ermanno Gorrieri contro gli automatismi del welfare tradizionale, va perseguita con altrettanta energia. Qui sta un confine serio con un ribellismo non politico, che ignora il principio di realtà e la necessità di adeguare gli strumenti contingenti rispetto ai fini, analogo a quello del cattolicesimo intransigente in materia di diritti delle persone. Un problema che spesso si ripropone anche in materia di riforma della Seconda Parte della Costituzione, dove chiunque fosse seriamente convinto dell’attualità dei princìpi e valori della Prima dovrebbe essere in prima fila, come già accadde per i referendum elettorali, anche sulla base della maturazione avvenuta nella Lega Democratica, per adeguare la Seconda alle fisiologie di una democrazia governante con Governi di legislatura, capaci di standard decisionali analoghi alle altre democrazie europee, che i Costituenti avrebbero già varato, almeno in parte, se non fossero stati bloccati dalle distanze della Guerra Fredda.
L’uguaglianza di cui parla l’articolo 3, specie al comma 2, non può essere perseguita da Governi che durino neanche due anni e che siano spinti a vivere alla giornata in mezzo a poteri di veto di ogni tipo.
Rispetto alla stagione della Lega non è però più pensabile procedere senza aver presenti le realtà europee che, nella diversità dei contesti, appartengono comunque a un comune sentire. Su questo, per varie ragioni, si riscontra ancora un certo ritardo, a differenza del cattolicesimo conservatore che utilizza un richiamo in larga parte mitologico e deviante al Ppe che, sarà bene ripeterlo, non presenta oggi al proprio interno nessuna realtà neanche lontanamente assimilabile al cattolicesimo democratico. Anche se si volessero omettere i riferimenti a membri distanti da esso almeno quanto il Pdl ora disciolto (il partito postfranchista di Aznar e Rajoy in Spagna fino al partito di Orban in Ungheria), senz’altro anche le forze più moderate e più serie come la Cdu tedesca o l’Ump francese, in quanto realtà stabilmente di centrodestra, non hanno nulla a che fare con ciò che noi intendiamo per cattolicesimo democratico.
Per inciso queste ultime realtà non hanno comunque niente a che vedere neanche con l’intransigentismo cattolico o con la retorica dei princìpi non negoziabili, essendo la Cdu peraltro composta in larga parte da evangelici e l’Ump da settori che da noi potrebbero definirsi laicisti.
A ben vedere le uniche tre esperienze classificabili nei nostri schemi sono:
– il movimento “Cristians on the left”, affiliato al Labour Party, uno degli incubatori più rilevanti della Terza Via da cui derivano anche John Smith e Tony Blair e che ha adottato questo nome, ritenuto più comprensivo, proprio questo mese, superando la denominazione storica di “Christian Socialist Movement”: http://www.christiansontheleft.org.uk/
– il gruppo spagnolo dei cristiani impegnati nel Psoe, che si sono assunti coraggiosamente il ruolo ingrato di cercare di far dialogare due realtà almeno ai vertici fortemente polarizzate, anche per ragioni storiche, quali il proprio partito e la Chiesa spagnola: https://www.psoe.es/ambito/cristianos/news/index.d
– e il recente laboratorio francese di Esprit Civique, che si muove sull’eredità Mounier-Delors, in rapporto coi settori più riformisti del Psf: http://www.espritcivique.org/index/
Tutte queste esperienze operano per un rinnovamento della sinistra che vada oltre, valorizzandole, le esperienze blairiane e clintoniane e non guardi indietro, viceversa, alla ripresa dei canoni del secolo socialdemocratico ormai chiuso.
Con una maggiore collaborazione, anche sovranazionale, i risultati di aggiornamento della cultura politica, potrebbero risultare decisamente più fecondi.
Stefano Ceccanti