Per contare davvero in Europa, e riuscire a salvarla, conta di più la capacità di raccogliere adesioni sulle proprie idee che non l’illusoria affiliazione al direttorio franco-tedesco: lo dice Enzo Moavero Milanesi sul Corriere della Sera (“Come si può riuscire davvero a contare di più in Europa”). Anche Franco Venturini, sul Corriere, mette in guardia: “Migranti e alleanza. I bersagli sbagliati del premier”. Ilvo Diamanti avverte che anche “Gli italiani rivogliono le frontiere” (Repubblica), e Sergio Fabbrini dice che per non alimentare l’antieuropeismo crescente si deve ripensare il modello di integrazione dell’Unione: separare le politiche che vanno gestite insieme a Bruxelles e quelle che debbono essere gestite dai singoli paesi (“Quella governance che favorisce il populismo”). Federico Rampini dice che “Bruxelles è rimasta indietro. La svolta è la fine dell’austerity” (Repubblica), ma sullo stesso giornale Luigi Zingales scrive che “Sull’austerity il muro di Berlino non cadrà”. Romano Prodi, intervistato dal Sole 24 ore, dice che “Berlino alimenta l’antieuropeismo”. Laura Pennacchi, sul Manifesto, spiega che in Europa è ancora dominante l’idea che lo sviluppo ottimale venga dall’impresa privata, e questo tiene bloccati gli investimenti pubblici (“Nelle mani dell’impresa”). Andrea Bonanni però avverte: “Draghi avvisa: non si cresce solo utilizzando la flessibilità” (Repubblica) e Ferdinando Giugliano spiega “La lezione di Draghi e quella britannica” su come predisporre il bilancio (Repubblica). Alberto Quadrio Curzio: “Industria 4.0: sfide ambiziose da mettere in pratica” (Sole 24 ore).
27 Settembre 2016
by Giampiero Forcesi
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