Fra i “bilanci” ai quali inevitabilmente invita la ricorrenza del cinquantenario dell’avvio del Concilio Vaticano II vi è indubbiamente quello che fa riferimento alla presenza dei cattolici nella società italiana: forse in nessun ambito come questo si è verificato un radicale mutamento di prospettiva, giacché si è passati da quella che fu definita “egemonia” a quella che è comunemente considerata quasi una “insignificanza”. Quali le ragioni di questo passaggio e come uscire – se la diagnosi è esatta – dall’insignificanza per tornare, se non ad una impossibile “egemonia”, ad una significativa e qualificata? E’ a questo interrogativo che si cercherà di dare una risposta, con alcune essenziali considerazioni che, a partire dalla storia, vogliono poi offrire anche alcune linee di lettura dell’attualità.
Il complesso di tematiche che si riallacciano alle varie forme di presenza che il cattolicesimo ha conosciuto nella società italiana nei 150 anni di storia che decorrono dalla raggiunta unità (1860) ad oggi richiederebbe evidentemente una serie di puntuali e documentate analisi, certamente qui non proponibili. Basterà dunque ripercorrere a volo d’uccello questo rapporto, a partire dall’elemento chiave che lo ha contrassegnato, e cioè quella sorta di “pendolarismo” che ha caratterizzato la presenza dei cattolici nella società italiana sotto il profilo del loro rapporto con le istituzioni,