L’autrice insegna storia e filosofia nei licei ed è stata assessore all’Istruzione, formazione, lavoro e pari opportunità della Regione Umbria. Il suo intervento riprende il tema affrontato di recente sul nostro da Albertina Soliani e da Giancarla Codrignani
Non sembra esserci, nel nostro paese, alcun motivo per cui si possa realizzare una violenza degli uomini sulle donne, a livello familiare e domestico, che non sia legato ad un fenomeno di accettazione-sudditanza da parte della vittima e simmetricamente di prepotenza-dominio da parte dell’aggressore.
Si può ammettere che la non autonomia economico-sociale, per lo più semplicemente reddituale e lavorativa, di molte donne le renda dominabili e ricattabili. Ma nel caso di donne che lavorano, che hanno redditi propri e possibilità di sovravvivere economicamente, magari anche in modo agevole, all’esaurirsi di un rapporto di coppia, resta da esaminare la componente psicologica: l’acquiescenza che conduce alcune donne a non reclamare un rispetto della propria dignità, a non sottrarsi ad una relazione oggettivamente umiliante. E simmetricamente la infondata convinzione da parte dell’uomo aggressivo che la propria identità di genere si estrinsechi in atteggiamenti vessatori, padronali, castranti, quando non decisamente violenti e criminali nei confronti della donna.