La sintesi della Scuola di formazione della Rosa Bianca che si è svolta questa estate a Terzolas (TN), con i file audio degli incontri
“Nello zaino dello studente che combatte per la libertà non ci sono armi e munizioni, ma solo parole. È con quelle che cammina. Nelle parole dei maestri, imparate e ripensate, trova le armi per resistere. Ai dittatori così come ai persuasori occulti. Di ieri e di oggi.” (da “La Rosa Bianca non vi darà pace – abbecedario della giovane resistenza” – di Paolo Ghezzi, ed. “Il Margine”).
La riscoperta del significato e della consistenza delle parole sta alla base dell’esperienza dei giovani della Weisse Rose tedesca, uno spirito duro e un cuore tenero nella Germania irretita dalla seduzione di Hitler e prona ai proclami nazionalsocialisti.
Rigenerare le parole
E sulla forza di amare, anzi sulla scommessa del ri-amare la politica, è nata la proposta della scuola di formazione della Rosa Bianca di quest’anno. E’ l’occasione per una riflessione sulla nonviolenza di resistenti e ribelli che hanno testimoniato con le loro vite il loro essere interposizione, grido di intercessione incarnato nella storia. La profezia è un dono “politico”, per tutti, per il bene della comunità. Ci accompagnano i percorsi dei giovani della Weisse Rose, di Marianella Garcia Villas, di Oscar Romero e ancora la narrazione altra delle “ribelli di Dio” circa il “potere delle donne che non hanno potere”.
Quale immagine di Dio?
La Parola ci aiuta a vedere la Storia con lo sguardo di figli, fratelli e sorelle. Ri-dare significato alle parole ci può aiutare a vedere con occhi e sfumature nuove la comunità. Di fronte alla immagini drammatiche dell’uccisione del giornalista James Foley tornano alla mente i riti sacrificali raccontati nel Primo Testamento per attirare la benevolenza di Dio.
Raniero La Valle ci ricorda come dinanzi al memoriale della Shoah papa Francesco ripete le parole di Dio nella Genesi, Adamo dove sei? Le vittime sono state “sacrificate” nel nome di che cosa? Non l’ha chiesto Dio. Chi uccide non lo fa in nome di Dio. Se ci si sostituisce a Lui, si deturpa l’immagine di Dio. Il linguaggio nuovo della Evangelii Gaudium ci lascia intravvedere la ricchezza di una chiesa che accompagna, che feconda, che cura le ferite, che scalda i cuori.
Giovanni Nicolini ci propone lo sguardo su una comunità, che può ripartire dal re-imparare a “spezzare il pane” e che deve essere povera se vuole accogliere il suo Signore: se è povera può essere visitata. La solitudine ci rende spaventosamente vicini alla realtà di morte ed al peccato. Solo la relazione e la comunione con l’altro è vita. Senza la relazione con l’altro non si ha coscienza o conoscenza. Siamo la tessitura dei doni che abbiamo ricevuto.
La creatura umana è fatta a immagine di Dio solo nella comunione, non nella solitudine. Solo la relazione e la comunione con l’altro è vita. Al primato del potere va sostituito il primato della relazione.
Guerra e pace
A partire dall’atlante delle guerre e dei conflitti di Raffaele Crocco abbiamo osservato come il flagello della guerra non sia rimasto assente nella storia di tanti paesi distanti, ma anche geograficamente a noi vicini. Difficile affermare che l’Italia non sia in guerra, non tanto e non solo per le migliaia di persone coinvolte nelle operazioni di peacekeeping, ma anche perché il nostro insieme agli altri paesi occidentali è in prima fila nel sostenere e ri-armare la guerra combattuta “a pezzetti”, tra poveri, dove il nemico e l’impersonificazione di Satana di ieri è divenuto l’alleato di oggi.
Romano Prodi ci ricorda come per affermare la pace occorra prevenire. Sono aumentate disparità all’interno della società e tra società. Sono stati compiuti passi indietro negli ultimi 30 anni. E’ difficile cercare di costruire la pace quando si manifestano differenze sempre più forti. Una specifica attenzione nel prossimo futuro rivestirà la ripartizione delle risorse, un tema che, senza la necessaria attenzione rischia di esplodere (si pensi al il problema dell’acqua tra Egitto e Etiopia, o delle dighe turche sul Tigri verso la Mesopotamia).
La comunità internazionale deve operare per costruire rapporti, rendere componibili e compatibili gli interessi dei diversi paesi. Ci sono decisioni da prendere e non bisogna essere prigionieri delle dottrine. E qui un ruolo importante lo riveste la politica. Un punto di osservazione specifico è quello delle vittime della guerra e delle violenze.
In particolare attraverso la testimonianza di Nibras Breigheche abbiamo condiviso le immagini di una Siria ricca di cultura, dove hanno convissuto per secoli nelle piazze delle città sinagoghe, moschee, chiese cristiane. Dal 1966, da quando il paese è stato vittima di un colpo di stato, non sono ammesse espressioni di dissenso politico e da marzo del 2011 è in corso una guerra intestina quale sfogo di una situazione rimasta compressa da oltre 40 anni. Centinaia di migliaia di siriani in fuga dal conflitto popolano campi profughi in Giordania, Libano, Turchia e Iraq. E’ questa una storia simile a quella di molti altri paesi.
La presenza visibile tra noi di profughi fuggiti dalle guerre e dalle violenze ci racconta del dramma presente. Dalla condivisione della necessità di “non tacere” di fronte all’esodo di milioni di uomini e donne in fuga da molti scenari di conflitto ci ha portato alla necessità di formulare alcune proposte operative rivolte a coloro che hanno responsabilità politiche in Italia, come in Europa e nella comunità internazionale cui fa riferimento il documento preparato a conclusione della scuola.
Inequità e ingiustizia
Non possiamo tuttavia dimenticare che la maggior parte degli uomini e delle donne del nostro tempo vivono una quotidiana precarietà. E’ cambiata l’influenza del potere del denaro, che condiziona fortemente la vita del Pianeta.
L’innovazione tecnologica non solo non ha ricadute in termini occupazionali, ma sembra sempre di più paradossalmente limitare le potenzialità di relazione e di costruzione comune. Meno di 100 tra le persone più ricche del mondo hanno un equivalente di ricchezza di metà della popolazione mondiale.
In Italia nel 2012 il 10% delle famiglie deteneva il 46% dell’intera ricchezza, mentre il 50% delle famiglie che occupano le ultime posizioni nella graduatoria avevano solo il 9%. Nell’analizzare la società in cui siamo sociologi, economisti e psicologi la descrivono, se non si presentano opzioni di uscita da questo modello, come un treno che si sta lanciando contro un muro.
Per dirla con Riccardo Petrella, occorre “ri-oxigenare la politica”, recuperare il primato sul’organizzazione della società, non accettare la subordinazione della politica e delle altre sfere della vita comune ai principi dell’economia. Invece di porci il problema rispetto a quante sono le auto prodotte o di quanto denaro produrre, prima si deve parlare di terra, diritti, vita, organizzazione comune, partecipazione, solidarietà, giustizia, uguaglianza.
Vuol dire lavorare per rendere illegale la povertà, attaccandone le cause strutturali, premendo sull’ONU. Insieme al tema dell’utilizzo delle risorse comuni, quali acqua, aria, terra sarà di particolare rilevanza il tema del lavoro, fortemente squilibrato dal mercato e dall’emergere delle nuove tecnologie che comportano conseguenze sociali ed economiche profondamente diverse rispetto a quelle indotte dalla rivoluzione industriale e offrono opportunità solo temporanee pur sulla base delle enormi ricchezze prodotte.
Costituzione, rivoluzione promessa
Pasquale Profiti ci racconta come anche in un Paese come il nostro, la ricchezza viene distribuita in maniera ineguale: i ricchi sono sempre più ricchi e i poveri sempre più poveri, mentre molti appartenenti al ceto medio precipitano nella fascia della povertà. La nostra Costituzione sembra essere una rivoluzione promessa, ma non attuata (si pensi solo alla pari dignità sociale e uguaglianza e alla rimozione degli ostacoli di ordine economico e sociale previsti nell’art.3 della Costituzione). Negli ultimi anni si sono trascurati gli interventi di inclusione sociale e gli investimenti legati alla istruzione. Parallelamente molte aziende pur avendo fatto utili non hanno investito in ricerca e sviluppo e non hanno dato ritorno rispetto ai loro margini in termini di crescita occupazionale. C’è rimasta la capacità di indignarsi, rabbia che si accompagna alla speranza che un giorno la rabbia per l’ingiustizia possa trovare una soluzione.
Per una politica (g)locale
Gli amministratori locali invitati si sono resi disponibili a confrontarsi sulle occasioni e opportunità per lavorare sul territorio con cittadine, cittadini e le diverse realtà presenti. A livello locale le ragioni di speranza sono legate all’impegno per la soluzione di problemi dove le possibilità di successo sono legate al coinvolgimento della comunità. Rispetto a alcuni problemi che hanno una ricaduta importante sulla vita di cittadine e cittadini quali la salute, la casa e il lavoro c’è la possibilità di incidere: nelle amministrazioni locali il ruolo della politica per dare priorità e decidere rispetto a sostegni e servizi è estremamente sensibile. Lì si cercano soluzioni trasversali, risposte che devono risolvere un insieme di problemi.
Nell’esperienza dell’assessora Violetta Plotegher cittadine e cittadini, rappresentano in questo una grande sorpresa. Segnalano tanti problemi, ma possono rappresentare una risorsa una volta coinvolti come protagonisti. Questo sta alla base di un welfare generativo, che accompagna il passaggio dalla richiesta di diritti individuali a quelli sociali. I diversi soggetti coinvolti diventano attori sostanziali, partecipi in un percorso progettuale dove è possibile fare insieme.
L’assessore Marco Granelli mette in evidenza l’importanza di ridurre la distanza del rapporto tra cittadino-amministratore e cittadino-politica di fronte a aspetti determinanti per la coesione nelle città quali la casa e il lavoro, fattori significativi che incidono sul disagio adulto. In questo risulta decisivo il ruolo degli operatori che si affiancano alle persone nel vivere la relazione con la comunità e accompagnano le piccole-grandi mediazioni quotidiane.
Di fronte alle città in profonda trasformazione è importante mantenere il focus sulla dimensione comunitaria, sapendo che i confini della propria azione non riguardano più il territorio strettamente legato alla realtà amministrata. E’ il riscontro del sindaco Virginio Brivio che sottolinea la necessità di integrare le politiche a livello territoriale e di operare attraverso una “manutenzione” delle relazioni della comunità per l’integrazione dei soggetti.
Domanda di politica e di politiche
Ai politici intervenuti per la tavola rotonda finale è stato chiesto di confrontarsi rispetto alle attese e alla domanda di politica e politiche, con particolare riferimento rispetto al tema della cittadinanza.
Nel suo intervento Pippo Civati riconosce che il problema di domanda di politica, è un problema di offerta. Troppo spesso l’esercizio del potere è per se stesso. Occorre ripartire dall’interesse dei cittadini da coinvolgere, cercando di comporre i problemi, anche scegliendo progetti che non necessariamente potrebbero dare luogo ad un immediato ritorno in termini di consenso o di preferenze elettorali.
Il sentirsi dentro ad una eterna campagna elettorale fa perdere di vista gli obiettivi di una buona politica. Cecile Kyenge si sofferma sull’immagine apparente dell’Europa come luogo dove si esercita una democrazia perfetta. La vera democrazia parte da una base di diritti. I conflitti enormi di portata internazionale a cui noi assistiamo sono ormai diventati routine e si preferisce chiudere gli occhi rispetto alle tantissime violazioni dei diritti umani (si pensi ai CIE, allo sfruttamento dei lavoratori operato anche con il caporalato, agli ospedali psichiatrici).
Dobbiamo armarci di una “corazza di diritti” per prevenire i conflitti. I diritti di cittadinanza fanno parte di diritti dimenticati. Propone di sanzionare i partiti che hanno di base cultura e messaggi di non rispetto al diritto alla persona, all’interno della nostra società. Il Piano Marshall ha consentito di ricostruire le democrazie dopo il crollo del le dittature nel periodo successivo alla seconda guerra mondiale. Michele Nicoletti sottolinea come il periodo post-dittatura per i paesi che si affacciano a sud del Mediterraneo non sia stato seguito da politiche e impegni – in particolare dell’Europa – per lo sviluppo. La politica estera è ancora fortemente correlata alla politica militare. Purtroppo in materia di diritti umani molto va ancora fatto, anche in termini di creazione di una autorità indipendente e su questo andrà richiamato il ruolo dell’ONU.
La democrazia non è un fatto naturale. La dobbiamo desiderare. La partecipazione è un atto sostanziale e non può essere solo ricondotta ai partiti. Serena Pellegrino constata come molta gente non vada a votare. A partire dalla “bellezza in Costituzione” sottolinea la necessità di riscoprire la terra, di cui siamo ospiti, custodi, non padroni. Osservando le carte geografiche dell’Africa si vede come il continente più ricco del pianeta sia stato tagliata a fette come una torta.
L’abbecedario della giovane resistenza
La scuola della Rosa Bianca non è stata improntata al solo ascolto. E’ stata arricchita dagli interventi dei relatori, ma anche dagli scambi e dai confronti dei (e tra) partecipanti con coloro che si sono trovati solo temporaneamente sul palco, nelle discussioni che hanno avuto seguito nei pranzi, nelle cene, nei dibattiti notturni. E’ stata l’esperienza di un laboratorio di tessitura, un’occasione per condividere fatiche e desiderio di fare politica dentro e fuori le istituzioni, di ri-amare attraverso relazioni autentiche.
In “Lettera ad una professoressa” ci viene ricordato che “Il fine giusto è dedicarsi al prossimo. E in questo secolo come vuole amare se non con la politica o col sindacato o con la scuola? Siamo sovrani. Non è più tempo delle elemosine, ma delle scelte”. E’ un compito e una proposta che si estende anche verso le nuove generazioni sia in termini di responsabilità verso decisioni che possono influenzare pesantemente la speranza di futuro e la sostenibilità delle scelte delle nostre comunità e del nostro pianeta, ma sia anche in termini di impegno educativo e di condivisione di pratiche di legalità, di nonviolenza, di capacità di mediazione dei conflitti attraverso percorsi che mettono in gioco alterità e differenze.
A fare la differenza può essere la disponibilità a “mettersi in gioco”. “Nel loro zaino di oggi, delle libere ragazze e dei liberi ragazzi in una libera Europa senza più frontiere, mi piace pensare che ci sia posto per quei sei poveri coraggiosi volantini e un posto d’onore per la bella Rosa Bianca, profumata di una libertà che per merito loro abbiamo ereditato. E che non dobbiamo mai dare per scontata.” (da “La Rosa Bianca non vi darà pace – abbecedario della giovane resistenza” – di Paolo Ghezzi, ed. “Il Margine”)
Scarica qui il documento con il PROGRAMMA SCUOLA E FILE-AUDIO