Trieste ha aperto un “processo”

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di Vincenzo Varagona

La 50ma edizione delle Settimane Sociali dei Cattolici ha certamente portato una ventata di freschezza e novità nel panorama generale della presenza e visibilità di questo mondo. Una delle chiavi di lettura va evidentemente ricercata nella formula utilizzata, che ha garantito la presenza, su mille delegati, di un buon 30 per cento di giovani e altrettante donne. ‘Quote’ insistentemente ricercate dal Comitato che ha preparato queste giornate, perché, ha sottolineato Elena Granata, economista che ne fa parte, a volte anche democrazia e equità passano attraverso la matematica.

L’altra novità è la formula del Festival: a molti questa parola non piacerà, ma è l’unica che rende bene l’idea della Settimana: la mattina nel Centro Congressi, a due chilometri dalla città, articolata in incontri formativi in plenaria e – subito dopo – laboratori in gruppi; il pomeriggio, ‘invasione’ del centro storico, con eventi promossi nelle piazze, ‘foderate’ di stand messi a disposizioni delle maggiori realtà del mondo cattolico. Immaginate un meeting, come quello di Rimini, non in un quartiere fieristico, ma nel cuore della città.

La Settimana ha occupato piazza dell’Unità d’Italia, ma anche tutte le maggiori piazze vicine e – prendendo spunto da Riccardo Cocciante, che ha animato una delle serate, insieme a Vecchioni, Cristicchi e altri artisti – ha colorato case, vicoli e palazzi.

Quando, poi, si parla di Trieste a luglio, si parla in prevalenza di turisti, e non sono stati turisti comuni, ma migliaia di persone sbarcate da navi crociera che ogni giorno hanno attraccato a pochi metri da piazza dell’Unità d’Italia.

È stato, per giorni, un continuo fondersi fra turisti, cittadini, e delegati con badge svolazzante e itinerante tra stand, piazze piccole e grandi, con incontri, voluti o casuali, fra persone che, dalle alpi alla Sicilia, si sono riviste dopo anni, oppure hanno ‘fisicizzato’ amicizie social attive da tempi più o meno remoti.

Ecco, la Settimana è stata un po’ tutto questo messo insieme, e non è poco: ha creato e rinsaldato amicizie, ha fatto scoprire luoghi, non solo sacri, ha fatto lievitare la città e non solo in cifra numerica.

Non è un caso quanto è successo e abbiamo toccato con mano con il presidente della Repubblica, Sergio Mattarella. Al nostro Presidente, nonostante il rapido e repentino cambio di scena – l’incontro era previsto in piazza, ma il cielo variabile ed esigenze di sicurezza hanno consigliato di ripiegare nel centro congressi – brillavano gli occhi quando si è presentato a Trieste. La mia impressione è che Mattarella si sia sentito finalmente a casa, come mai o poche volte prima. Il Presidente è purtroppo abituato a schivare colpi o a resistere ad altro genere di colpi. Credo gli manchi, in senso politico, quella ‘famiglia’ che invece ha finalmente trovato a Trieste, dove è stato accolto da un calore che non è stato squisitamente istituzionale. Così, un po’ si è lasciato andare, sull’onda, anche, del momento che è particolarmente delicato. Da pochi giorni premierato e autonomia differenziata non erano più solo ipotesi, con grande preoccupazione di molti. Così, con una sensazione di libertà sempre coordinata al ruolo istituzionale, Mattarella si è sciolto, partendo dalla definizione di democrazia, citando il costituente Egidio Tosato: «Noi sappiamo tutti ormai che la presunta volontà generale non è in realtà che la volontà di una maggioranza e che la volontà di una maggioranza, che si considera come rappresentativa della volontà di tutto il popolo può essere, come spesso si è dimostrata, più ingiusta e più oppressiva che non la volontà di un principe». Un fermo no, quindi, all’assolutismo di Stato, a un’autorità senza limite, potenzialmente prevaricatrice…. Non è mancato il riferimento allo stato (precario) della salute della democrazia in Italia e nel mondo fino ai rischi dell’astensionismo e della demagogia. Parole che si sono saldate con quelle del presidente della Cei, Matteo Zuppi, e ancora più con quelle di papa Francesco, che nella giornata conclusiva ha chiarito: «La politica non è occupazione di spazi, ma l’avvio di un processo», e per essere più chiaro ha citato l’esempio di una mamma e di un papà che mettono al mondo un bambino: “avviano un processo …”.

 

Così, parlando di processi, tornano alla mente le parole del cardinale Gualtiero Bassetti, allora presidente della Cei, tre anni fa a conclusione della Settimana di Taranto: «Non è, questo, un convegno, ma l’avvio di un processo … », immagine ripresa da monsignor Luigi Renna, presidente del Comitato della Settimana appena conclusa.

Direi che l’idea di un processo avviato, con la formula del festival, è passata abbondantemente. Ora occorre cominciare a verificare le ricadute in termini pastorali, e lo stesso Renna ha garantito che il Comitato lavorerà alacremente in questi due mesi, nonostante le ferie, per ripartire in modo concreto e originale già dal mese di settembre.

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