So che me lo direbbero, con un pizzico di disappunto, in diversi, nella cerchia dei miei amici, compresi i cinquemila di facebook (metà dei quali mi cancellerà?), su cui, da sempre, posto messaggi evidentemente “di sinistra”, oltre che visceralmente antiberlusconiani. Anche tu voti dunque Renzi? In effetti, è ciò che penso di fare, dopo lunga e tormentata riflessione, pur se, fossero veritieri i sondaggi che si leggono sui media, il sindaco di Firenze parrebbe già accreditato di una valanga di consensi, per cui il mio voto risulterebbe ininfluente. Ho scelto convintamente Bersani, l’altra volta, giusto contro Renzi, nonostante la comune provenienza politica (ma io, rispetto al sindaco, sono ormai “agè”). Di quest’ultimo m’infastidivano (e m’infastidiscono) in particolare taluni atteggiamenti. Quelli un po’ narcisistici in primis, è ovvio. Io pure sono, alla fine, saltato perciò sul carro del probabile vincitore, come si suol dire? Per carità: ormai mi considero soprattutto un “osservatore”…disinteressato. E penso questo: la vicenda Bersani sappiamo com’è finita. Con una sostanziale, clamorosa, impensabile sconfitta alle elezioni di febbraio. Beninteso, io non imputo all’ex segretario particolari responsabilità nella campagna elettorale: le cose sono andate come sono andate perché questa è l’Italia. Con una parte consistente dei pensionati, e rispettive famiglie, che si lasciano tuttora sedurre dal “ciarlatano numero uno”, che manda, lo ricordiamo, una lettera per dire che ci sarà persino restituita l’IMU pagata l’anno prima. In argomento tengo come una reliquia questa missiva di Silvio al “caro Oreste”, cioè mio padre, morto …appena 38 anni fa. E con un’altra parte di italiani, numericamente assai consistente (nove milioni di elettori), che segue il pifferaio magico pentastellato, il quale proclama slogan pararivoluzionari difficilmente decifrabili se di destra o di sinistra. Dunque, “ad impossibilia nemo tenetur”, e quindi le “colpe” di Pierluigi sono relative.
Certo, però, che il post-elezioni, culminato con la nota vicenda dei 101, è stato terribile, e la mancata realizzazione del “governo del cambiamento” è da imputare sì in massima parte a Grillo & Casaleggio, ma anche alla dirigenza del partito, che non si è mostrata all’altezza. Dicevo allora che, pur non ritenendomi “immanentemente” renziano, mi sono via via convinto che, per chiudere definitivamente, com’è indispensabile, una certa era, e aprirne debitamente una nuova, la figura di Matteo Renzi può essere risolutiva. L’era da chiudere è naturalmente quella caratterizzata dall’anomalia berlusconiana, mentre la nuova prospettiva va aperta cercando di impedire che il populismo a marca cinque stelle faccia troppi danni.
Pensando al primo cittadino di Firenze non coltivo affatto, sia chiaro, la voglia dell’“uomo solo”, purché forte, al comando. Studio teologia ma non credo agli “Unti del Signore”, in politica. Credo nel “partito” e, per esempio, proprio in ragione di ciò sono tra quelli che non vedono male la separazione dei ruoli tra segretario – che ha da essere impegnato minuto per minuto per il partito – e capo del governo. In ogni caso, paragonare, con connotazione evidentemente negativa, questo nostro candidato a Berlusconi, come fa in particolare certa sinistra (tralascio il riferimento ad accuse più eccentriche, che pure ho letto da qualche parte, senza tirare in ballo il “metodo Boffo”), mi pare una sciocchezza. Sarà pure andato a trovare Silvio ad Arcore o altrove (facendo incavolare molto anche me), il Renzi, che è indubbiamente molto sveglio e vivace, ma mi pare che da tempo è colui che, più di tutti, “spara” apertamente contro il Cavaliere. Il “nostro” ha dunque personalità. Troppa? Ma, nell’anno di grazia 2013, dotarsi di una leadership forte e “visibile” non è forse una necessità inderogabile, per una formazione politica moderna? L’importante è non fermarsi a questa soltanto, non fare di essa il solo punto di riferimento, non idolatrare mai il capo, come invece avviene da sempre nel Pdl.
E’ “di destra”, è un altro refrain. Certo, tutto è relativo (c’è sempre qualcuno più a sinistra di qualcun altro, in politica), ma io resto convinto che un cattolico “democratico”, il quale ha riferimenti ideali tipo La Pira, Zaccagnini, Granelli, eccetera, e che si trova talvolta a disagio, nel più generale mondo cattolico, per le sue scelte, non potrà mai essere di destra, via! Detto con buona pace di chi, nel PD, continua a non fidarsi dei cattolici “democratici”. Sul tema, anch’io, che, pur venendo dalla stessa storia, non sono precisamente un “fioroniano”, e che stimo non poco Epifani, riterrei sbagliato che ci connotassimo come una formazione politica che non si distingue sostanzialmente dai partiti socialisti tradizionali confluiti nel PSE. E che venisse percepita come una sorta di braccio “partitico” della CGIL (da lavoratore ho sempre amato i sindacati, sia chiaro). Il Partito democratico (e su questo argomento il candidato Cuperlo, che a volte mi pare un pizzico algido, non mi convince sino in fondo) ha da essere altra cosa, pur non rinnegando certo i valori della tradizione social comunista e di quella cattolico-democratica in particolare. Senza dimenticare poi quella liberalprogressista e quella ambientalista. In “rete” c’è chi vuole cacciar via questi “democristiani”: non ha, evidentemente, capito nulla del PD.
Tornando “a bomba”, come si suol dire, ho dato una lettura, certo assai veloce, e dunque un po’ raffazzonata, alle piattaforme programmatiche dei quattro competitors. Mi vien da dire che, forse, le voterei tutte, come forse voterei tutti i quattro nomi, se fosse possibile. Rilevo però, soggettivamente, che il documento più completo, e non solo perché più lungo, mi sembra quello di Civati, tra l’altro quasi conterraneo, e che m’ispira non poca simpatia. La mozione anche più “a sinistra”, probabilmente. Quelle di Cuperlo e di Renzi, i due soggetti che parrebbero maggiormente quotati, mi sembrano entrambe “buone”, anche se un poco generiche (ricche, cioè, di principi, finalità e obiettivi generali, ma un poco carenti in termini di proposte, diciamo, operative). E non sono neppure troppo dissimili, per molti aspetti (non tutti, certo). Entrambi insistono, per esempio, nella difesa del bipolarismo e sull’urgenza di riforme istituzionali e non, tra cui una coerente nuova legge elettorale. Anche a me piace molto, in argomento, l’idea del “doppio turno di collegio”: nel primo, l’elettore si sfoga, diciamo così, come più gli pare. Nel caso nessun candidato abbia ottenuto la maggioranza assoluta, nel secondo turno l’elettore si prende la responsabilità, se vuole, di scegliere tra i due (o tre?) candidati più votati. La polemica, della destra, sui costi di questo successivo turno è demagogicamente banale. In entrambi i documenti è sottolineata poi l’attenzione al lavoro, alle piccole e medie imprese, alla pressione fiscale esorbitante, al tema della crescita, della povertà da combattere, al Sud, all’Europa. Rilevo qualche diversa precisazione a riguardo della spesa pubblica: Cuperlo parla di riqualificazione e di non riduzione, mentre Renzi afferma più semplicemente che, in ogni caso, non ne va prodotta di ulteriore. A proposito, infine, dell’accusa di “liberismo” in economia rivolta al sindaco toscano, va rimarcata – tranquillizziamoci – la seguente affermazione: “il PD non sarà mai subalterno al mercato, che deve invece essere regolato”. Le due mozioni toccano ovviamente altri temi. Così come quella del non ancora qui citato Pittella, dal titolo, peraltro (“per un partito democratico, solidale, europeo”), che fa comprendere che c’è, e non potrebbe essere diversamente, molto in comune tra i candidati.
Tornando comunque a Cuperlo/ Renzi, qualcuno potrebbe obiettare che il primo è “più a sinistra” (dopo Civati) del secondo. Forse, ma ci si deve intendere, al riguardo. Certo, Matteo Renzi parla anche in modo esplicito di “merito”. E, in particolare, non nasconde l’obiettivo di ricuperare consensi “in tutte le direzioni”. Affermazione, questa, che istintivamente fa storcere il naso pure a me, ma che, a ben pensarci, evidenzia un obiettivo che ha una sua decisa razionalità, se la “mission”, fondamentale, è di “vincere” le elezioni (chiudendo anche la partita con Berlusconi). Del sindaco a me personalmente non “spiace” (se così posso dire), poi, lo scetticismo sulle “larghe intese”. Quelle in corso, non soltanto quelle viste come “strategia”, che naturalmente non piacciono neppure a Cuperlo. Il quale ultimo è invece più “lealista”, per il presente. Mia convinzione è che l’accordo col PDL paralizza il governo, al di là delle capacità espresse dall’amico Enrico Letta ed evidenziatesi particolarmente nell’ultima crisi, quella che ha prodotto la giravolta dell’uomo di Arcore. Le pantomime su IMU, TARES, SERVICE TAX, TRISE, TUC, o comunque sigle di tasse o imposte sostitutive, sono intollerabili, ormai, per esempio. Quanto alle riforme, ritengo impossibile quella elettorale (a meno di non cedere sul “proporzionale”, che funziona in Germania ma perché si tratta di un paese serio), per via della contrarietà della destra e di “cinque stelle” al (citato) “doppio turno di collegio”, e difficilissime quelle, pur indispensabili, volte a razionalizzare il sistema istituzionale e a ridurre drasticamente i “costi della politica”. La “resistenza” degli attuali “nominati”, più a destra che a sinistra (anche quivi, pertanto), sarà fortissima. La prospettiva resta perciò quella di un governo di larghe intese perennemente in fibrillazione. Sperare, allora, che la soluzione venga dagli scissionisti pidiellini mi pare un pizzico indecente.
Ha dunque ragione Renzi, a mio parere. Il quale, pur non certo privo di difetti, viene poi accusato sulla “rete” anche di talune nefandezze, tra cui quella di proporre scelte anti-sociali (definiamole così), che però è difficile scorgere sul suo documento programmatico. D’altronde, è scontro elettorale (scontro forse un po’ troppo vivace, ma pur tipico, giustappunto, di un partito “democratico”), pur se interno, e qualche colpo proibito lo si sferra da tutte le parti. Da ultimo, la vicenda del “cimitero dei non nati”, a Firenze, che ha scatenato reazioni furibonde e l’accusa, al Renzi sindaco, di “sadismo di Stato che porta a seppellire grumi di materia chiamandoli bambino o bambina”. Non voglio qui approfondire la delicata questione, ma dire semplicemente che, a fronte della suddetta convinzione, c’è quella di altri, non soltanto cattolici, per i quali risulta assai problematico definire i feti soltanto “grumi di materia”. Tutto ciò detto, dovessi, per finire, sintetizzare al massimo le ragioni della mia scelta, direi questo: nel momento storico che viviamo, nel quale l’appeal della politica è prossimo allo zero, occorre una scossa profondissima. Anche per il partito democratico. Che non può più essere percepito, come pure accade (e lo affermo da militante storicamente molto identitario) quale semplice espressione della prosecuzione dell’esperienza PCI-PDS-DS. E neppure come la pura somma della vecchia componente social-comunista e di quella democristiana di sinistra. Fermo restando che i valori di quelle tradizioni restano validi e vanno attualizzati. In proposito Renzi ha scritto che vuole cambiare radicalmente “non solo il gruppo dirigente che è stato sconfitto alle elezioni, ma anche e soprattutto le idee che non hanno funzionato, le scelte che hanno fallito, i metodi che ci hanno impedito di parlare a tutti”. Lui non è il solo a porsi questi obiettivi, lo so. Ma è il personaggio, a me pare, che ha qualche chance in più degli altri per risultare convincente alla maggioranza del partito ma anche, in qualche misura, nel Paese. Certo, vincesse, andrà tallonato per evitare che nel processo di “rottamazione” vengano buttate via anche le cose buone. Sarebbe in atto, nel PD, una sorta di richiamo vincente della foresta democristiana (Letta, Renzi) che spingerebbe i “comunisti” ad andarsene? Per approdare dove? E non ditemi, per favore, che in realtà anch’io sono diventato renziano “dentro”.
Vincenzo Ortolina