di Sandro Antoniazzi
La rivista Esprit dedica il suo ultimo numero (settembre 2023) al tema del lavoro in Francia.
Dai diversi interventi emerge in primo luogo un’interessante valutazione del perché della grande partecipazione agli scioperi contro la riforma delle pensioni.
Dalle indagini nazionali ed europee appare un forte legame dei francesi per il lavoro, ma nello stesso tempo una larga maggioranza si esprime criticamente sul modo con cui si lavora.
E allora perché lavorare due anni in più per un lavoro penoso e che non dà soddisfazione?
Su questo tema si sviluppano poi diverse riflessioni: un articolo molto significativo è quello di Bruno Palier “Le travail low-cost”.
Palier dimostra con una logica serrata che da trent’anni la politica francese del lavoro, sia governativa che padronale, è quella della riduzione del costo del lavoro.
Per tenere bassi i salari si usano tutti i mezzi: delocalizzazioni, appalti, precariato, impiego dei giovani e dei lavoratori con contratti speciali scontati.
A una politica di bassi salari corrisponde una politica di prodotti di bassa qualità e anche lavoratori con basse qualifiche: si crea così un circolo vizioso.
Tutto ciò con la giustificazione della concorrenza, ma su questo piano si trova sempre qualche paese con salari più bassi (paesi, ad esempio, senza welfare) e infratti la Francia non ha guadagnato posizioni nel commercio internazionale.
Un esempio viene portato da Laurent Bergér, già Segretario Generale della CFDT, che cita il caso dei cantieri di Saint-Nazaire: i dipendenti sono duemila, ma a questi occorre aggiungere altri undicimila lavoratori degli appalti, che vengono pagati di meno.
Si crea così una spirale al ribasso, tutta negativa, mentre occorrerebbe andare nella direzione opposta, puntando sulla qualità della produzione, del lavoro e dei lavoratori.
Però la denatalità inizia a farsi sentire anche in Francia: i lavoratori diminuiscono e il lavoro da remoto offre ai lavoratori maggiori possibilità di scelta, così diventa più difficile per gli imprenditori portare avanti questa politica.
Secondo Bergér si considera il lavoro solo come forza produttiva senza preoccuparsi del senso del lavoro, oggi molto sentito.
Le cassiere lavorano SBAM (sourire, bonjour, au revoir, merci) e gli addetti alla logistica con caschi che dicono loro dove andare, senza più possibilità di contatti coi colleghi di lavoro.
In azienda i rapporti sono rimasti “verticali”, dall’alto in basso; si può essere cittadini solo quando si esce dal luogo di lavoro.
Al lavoro non viene dato il suo giusto valore; la stessa sinistra ha una visione miserabilista del lavoro, mentre sarebbe importante ricreare una concezione del lavoro come emancipazione.
La maggior parte dei lavoratori crede ancora nel lavoro, anche perché vi dedica una larga parte della propria vita, ma occorre più riconoscimento, una remunerazione più soddisfacente, più libertà.
In una tavola rotonda tra dirigenti e addetti alla selezione dei quadri emerge che l’esigenza di un diverso rapporto tra lavoro e vita è molto avvertito a questi livelli, soprattutto tra i più giovani.
Le imprese francesi in queste sono diverse da quelle americane che spesso hanno un capo carismatico e poi un’organizzazione quasi militare (vedi Amazon); si cita anche Musk che chiede ai suoi di lavorare il più possibile.
Molti scelgono il lavoro da remoto, che comunque può al massimo arrivare a un terzo della mano d’opera, mentre per gli altri mancano le condizioni.
Il problema preoccupante che emerge è la polarizzazione tra un’area di lavoratori professionalizzati, con buoni stipendi e buone condizioni di lavoro (tanto più per i lavoratori considerati “indispensabili”) e una massa di lavoratori, fra i quali prevalgono bassi salari e condizioni di lavoro decisamente insoddisfacenti.
Chiude il numero un articolo che riprende le proposte di André Gorz sul lavoro e sulla società.
Rinunciare alla crescita illimitata, imparare a selezionare i bisogni rendendoli per quanto possibile autogestiti, guadagnare tempo autogestito da dedicare a pensare, formarsi e dar vita ad altre esperienze di vita e di lavoro; togliere tempo alla razionalità economica è il modo di limitare il peso del capitalismo.
Si tratta non del tempo libero per dimenticare il lavoro, ma di tempo che significa affermazione di autonomia.
Forse in questo dibattito non appaiono discorsi particolarmente nuovi, ma è bene illustrata la situazione attuale del lavoro (e l’Italia non è molto diversa dalla Francia) e anche le risposte sono realistiche e attuali, naturalmente tenendo le idee di Gorz come un orizzonte per l’avvenire.
Sandro Antoniazzi