Ha perfettamente ragione Laura Rozza nel suo Corsivo che si può leggere da qualche giorno su c3dem . Viviamo in un Paese da ricostruire. E dobbiamo dircelo, pensarci davvero; anche perché è l’unico modo per superare “la nausea esistenziale ispirataci dai fatti di Roma e di Milano e di chissà quanti posti ancora….”. C’è una sola alternativa al mugugno (il quale poi è un modo di arrendersi): prendere coscienza che c’è un Paese da ricostruire dalle radici, cioè dalle coscienze. Bisogna superare il semplice malumore e ritrovare la speranza e la volontà di ricostruire. Laura Rozza ricorda opportunamente le parole di Martin Luther King: “temo il mugugno dei buoni più della violenza dei cattivi”.
“Ciò che ci porta alla sventura non sono tanto i nostri peccati quanto la disperazione”. Questo pensiero di Giovanni Crisostomo ispira l’editoriale del recente fascicolo 1/2012 di Horeb (una bellissima rivista di spiritualità “impegnata” che si pubblica a Barcellona Pozzo di Gotto a cura della comunità religiosa carmelitana e di un gruppo di laici e laiche). Tutto il fascicolo è dedicato al tema “Il coraggio di sperare oggi”.
Il titolo mi ha fatto riflettere e in un primo momento mi ha lasciato perplesso. Certo ci sono gli scandali, le furbizie, forse anche qualche pericolo, ma dire che ci vuol coraggio per sperare…. qui in Italia potrebbe sembrare eccessivo. In molti Paesi le cose vanno ben peggio: ci sono tragedie e stragi, rischi e ingiustizie peggiori. Anche da noi, in altre epoche, si son viste cose forse più terribili, che sembravano davvero uccidere ogni speranza. La chiesa dove fui battezzato nel 1944, nel centro di Brescia, venne distrutta dalla bombe 30 giorni dopo e vi morirono parroco e fedeli. Allora, certo, era difficile sperare.
Eppure proprio nella stessa città, nello stesso anno in cui nascevo, un intellettuale cristiano, educatore e animatore eroico della resistenza bresciana, Andrea Trebeschi, scriveva: «Se il mondo fosse monopolio dei pessimisti, sarebbe da tempo sommerso da un nuovo diluvio; e se oggi la tragedia sembra inghiottirci, si deve alla malvagità di alcuni, ma soprattutto all’indifferenza della maggioranza. Il “credo” di troppa gente non ebbe, fin qui, che due articoli: “non vi è nulla da fare”, “tutto ciò che si fa non serve a nulla”. Quel che importa è che ognuno, secondo le proprie possibilità e facoltà, contribuisca di persona alle molte iniziative di bene, spirituale, intellettuale e morale. Un mondo nuovo si elabora. Che sia migliore o ancor peggio, dipende da noi». Lui morì poco dopo a Gusen di Mauthausen; ma l’Italia fu liberata e rinacque. Ebbe la forza di ricostruirsi perché molti cittadini, di diversa condizione, formazione, orientamento e forse anche animati da speranze non identiche… seppero guardare avanti e lavorare assieme, con fiducia e rigore. Quando leggo le pagine ristampate de “Il Ribelle”, il giornale clandestino delle Fiamme Verdi di Teresio Olivelli e tanti altri… mi vengono i brividi. Come facevano a sperare e immaginare il futuro mentre tutto cadeva in rovina e ogni persona libera e coraggiosa rischiava la vita o il lager?…
“Il Paese non si salverà se non insieme” hanno scritto i vescovi italiani nel 1981, in uno dei documenti più limpidi e meno clericali. Personalmente credo che il nostro problema di oggi sia proprio quello di avere, sì, il coraggio di sperare; ma anche la intelligenza di identificare, definire e progettare che cosa significhi in concreto stare insieme: condividere una speranza, un progetto, stili e regole per ricostruire il Paese come una città, una casa comune. Cioè: luoghi di cultura e di educazione ai valori, strumenti di impegno culturale e civile, regole che permettano ai cittadini di scegliere i migliori (i più puliti, i più lungimiranti, i più coraggiosi) per “governare la città”. Dovremmo sforzarci a cercare e discutere, anche su questo nostro c3dem, su “come fare” per camminare insieme in questa direzione. (ab)
18 Ottobre 2012 at 18:23
Caro Angelo, apprezzo e condivido analisi ed intendimenti del tuo articolo al pari di quello di Laura Rozza.
Ma il nodo resta sempre lo stesso (come mi pare dicesse già Lenin appena fatta la sua rivoluzione) : “CHE FARE?”. Tra le tante una ci compete più di altre, come soggetti della retec3dem e quindi da cattolici che intendono laicamente sostenere la cultura CATTOLICO DEMOCRATICA e quindi, con tale mediazione, l’impegno politico, partitico-istituzionale o meno che sia. Dobbiamo noi per primi essere esemplarmente capaci di proposte condivise anche se necessariamente non unanimi, sfidando criticamente cattolici e non, Istituzioni pubbliche e non, Chiesa compresa, sui problemi reali della comunità, a tutti i livelli, anche sui comportamenti. Riproporre con l’autorevolezza della LEGA DEMOCRATICA la sfida alla politica ed alla società civile, per trovare le strade del bene comune. Ben oltre le nostre migliori testimonianze isolate.