La crisi della democrazia negli Stati Uniti, dove un uomo come Donald Trump è ancora il leader osannato di metà degli americani, può diventare anche la nostra crisi. Possibile che non si sia più in grado di percepire quale debba essere il profilo alto di chi ci debba rappresentare? E se domani si arrivasse anche da noi all’elezione diretta del presidente?
di Vittorio Sammarco
Che la vicenda politica degli Usa ci riguardi tutti, e in particolare noi che condividiamo l’alleanza atlantica e occidentale, fondata sulla condivisione del principio della democrazia come valore fondante del vivere collettivo, è palese. Sarebbe quasi inutile dirlo se non vedessimo, giorno dopo giorno, ora dopo ora, un evidente indebolimento di quel principio. Costantemente logorato sulla base di un fenomeno complesso che, sia chiaro, non è per nulla esclusivo di quel paese ma, seppure condizionato da elementi contingenti e particolari, è tessuto da elementi costitutivi di una matrice comune all’Occidente. Ossia: personalizzazione della contesa politica; influenza dei media nelle scelte (vecchi e soprattutto nuovi); polarizzazione del conflitto; sfiducia nelle istituzioni e negli esperti; insorgere di nuovi poteri (in particolare economici e mediatici); radicalizzazione della diatriba sulla base di false convinzioni ritenute vere.
Ecco: siccome tutti siamo disposti (ahinoi) a riconoscere anche nelle nostre fragili democrazie l’insorgere e il consolidarsi di questi fattori, dovremmo di conseguenza preoccuparci della vicenda Biden vs Trump. Perché, appunto, non si tratta di “affari loro”, ma nostri. Ossia di tutti coloro che credono ancora che nessuno possa contestare il voto legittimamente espresso se non ha uno straccio di prova. Anzi, se tutto quello che sostiene è stato ampiamente contestato. A maggior ragione se è ricco e potente, in quanto ricco e in quanto ex presidente. E che non può delegittimare gli avversari solo perché ha perso.
E, siccome le tendenze “americane”, nel bene e nel male, spesso negli ultimi decenni si riverberano nella società, nella cultura e nella politica dell’intero Occidente, bisogna essere chiari. Chi sostiene che un politico di questa fattezza, con ciò che dice e che fa (il 6 gennaio e l’assalto a Capitol Hill non è affatto una parentesi superata), può essere tranquillamente sostenuto e appoggiato a distanza come se si trattasse di una qualsiasi discussione politico-ideologica, va ugualmente criticato e condannato.
E siccome siamo in vista delle nostre elezioni, il salto non appaia acrobatico e astruso. Il patriota, visto che di questo si è parlato, è sicuramente un politico che sa stare mille miglia distante dai modelli simil Trump. Questi, nei fatti, vuole la guerra civile (il 6 gennaio è stata una sorta di prova generale andata a male, per lui), e quindi di fatto vuole il male della “sua” patria per i suoi personali interessi.
Ecco, quando si riparlerà di elezione diretta del presidente della Repubblica (non sarà il caso del prossimo presidente, ma non sono pochi i cittadini che la vorrebbero come emerso dal sondaggio di Ilvo Diamanti apparso alcune settimane fa sui giornali), è probabile che non si potrà chiudere il dibattito paventando rischi di populismo e di incapacità dell’elettore di decidere la persona migliore. Bisognerà in quel caso ragionare pacatamente (ci si riesce una volta tanto?) sui pro e i contro, valutare benefici e rischi: ma senza condanne preventive, senza pregiudizi, che non sarebbero compresi e accettati. Ma valutiamo piuttosto il profilo di chi può o non può farlo, quali sono le vicende di una carriera politica che impediscono di assumere un ruolo così alto: condanne giudiziarie (anche quelle in prescrizione, che tanto sono macchie pure quelle…); i discorsi fatti; le scelte internazionali; le vicende economiche e personali che, se ad alcuni possono apparire macchie tenui, spesso non lo sono. Facciamo in modo, insomma, che la più alta carica dello Stato, che lo rappresenta in un mondo con ogni evidenza di questi tempi tanto più fragile, non sia solo impeccabile, di più. Sia l’orgoglio di un Paese.
I realisti (cinici?) si affretteranno a dire che questo tipo di figure non esiste in politica. Si fa i conti con il “materiale umano” a disposizione, sempre precario e finito. Ma non vedono che Pertini, Ciampi, Scalfaro, Napolitano e – non c’è nemmeno bisogno di dirlo – Mattarella hanno rappresentato in pieno il profilo su descritto? E lo si sapeva anche prima di sperimentarli nel settennato. Ci saranno ora figure di questo tipo o siamo irrimediabilmente sconfitti?
Di questo dovremmo parlare nei nostri circoli (sezioni, associazioni o come vogliamo chiamarle, in presenza o digitali che siano); di questa rivalutazione della democrazia e del profilo alto, altissimo, di chi la invera nelle nostre massime istituzioni. Il pragmatismo di basso livello lasciamolo a chi ne fa un motivo di supponente orgoglio. Almeno in questo particolare caso, quando, a fine gennaio, 1009 rappresentanti di questo popolo dovranno scegliere un nome su tutti.
E la storia statunitense ci insegni qualcosa.