Come è ormai noto a tutti l’accoglienza di centinaia di richiedenti asilo ha ridato vita al borgo di Riace nella Locride che l’emigrazione in senso opposto aveva nel passato spopolato. Creando nuovi posti di lavoro legati all’accoglienza e garantendo la sopravvivenza di servizi pubblici e piccoli esercizi commerciali locali, l’arrivo dei richiedenti asilo ha ridato un futuro anche a molti giovani riacesi, che sarebbero stati altrimenti costretti a emigrare altrove, oltre che agli stessi migranti che a Riace hanno deciso di mettere radici.
Un’esperienza pionieristica, quella di Riace. Una storia di accoglienza e di integrazione che, unita a una storia millenaria di contaminazione con altre culture, ha permesso di rivitalizzare vecchie tradizioni e arti a rischio estinzione. Come la tessitura della ginestra a telaio, il tombolo, il ricamo.
Ma anche un’esperienza, contrastata in tutti i modi, leciti e illeciti, in conformità con l’ideologia del ministro dell’Interno, e che in molti sperano di aver definitivamente archiviato a utopia fallita. Proprio perché emblematica di come l’accoglienza degli immigrati non sia solo un dovere di solidarietà ma anche un motore di sviluppo locale, quando ben gestita (il presente articolo è stato scritto prima delle recenti elezioni amministrative, che a Riace hanno visto prevalere la Lega e uscire sconfitto l’ex sindaco Mimmo Lucano; ma il risultato elettorale, se pure pone interrogativi, nulla toglie al valore dell’esperienza realizzatasi a Riace, ndr).
Ciò che è meno noto agli italiani e forse anche al Ministro è che Riace non è un’esperienza isolata: ha ispirato e continua a ispirare nuove iniziative, sparse per tutto lo stivale. Dal Trentino alla Sicilia passando per l’Appennino, dalla Carnia alle valli di Lanzo, l’Italia è stata ed è ancora una costellazione di territori accoglienti. Spesso poco reclamizzati o presenti sui media, ma che hanno sperimentato innovative forme di inclusione sociale e lavorativa, con un impatto importante sull’economia locale e sull’occupazione.
Sono infatti moltissime le attività imprenditoriali avviate da o insieme ai migranti in ambito agricolo, nel settore della ristorazione e dell’accoglienza turistica, che hanno concretamente contribuito a rivitalizzare le economia di molti borghi e aumentando l’offerta di servizi di cui ora godono innanzitutto i residenti, spesso anch’essi soggetti deboli perché anziani con ridotta mobilità. Tra le più significative: l’Hotel Giardino in val Camonica, acquistato e gestito dalla cooperativa sociale K-Pax che, dopo essere rimasto in stato di abbandono per anni, ora garantisce un’occupazione stabile a tre ragazze del territorio e a quattro rifugiati precedentemente accolti dalla cooperativa. Un progetto, questo, che grazie all’aumento significativo di presenze turistiche sta generando un impatto economico importante su tutto il territorio camuno.
Anche in ambito agricolo le iniziative sono numerosissime. Spaziano dall’attività di produzione e vendita di yogurt e ortaggi biologici della Cooperativa Sociale Barikamà a Roma, promossa da alcuni ragazzi africani reduci dalle rivolte di Rosarno e finalizzata a inserire ragazzi italiani affetti dalla sindrome di Asperger, fino alla produzione di prodotti locali di grande qualità, come l’ampio set di farine di farro e orzo prodotti dalla Cooperativa Agricola Sociale Maramao, nata da una precedente esperienza di accoglienza in provincia di Asti.
Altrettanto interessante è l’attività di accoglienza e promozione culturale promossa dall’Associazione Pacefuturo a Pettinengo, in provincia di Biella. Ospitata in una villa signorile ottocentesca, Pacefuturo offre un servizio di foresteria e realizza attività finalizzate a valorizzare le conoscenze tradizionali del territorio, come il ripristino dei sentieri che consentivano di raggiungere i lanifici, oltre a favorire l’interazione tra beneficiari dell’accoglienza e abitanti locali.
Spostandosi all’ambito dei servizi di welfare, è il Trentino esempio d’innovazione: grazie all’interazione tra il servizio di salute mentale dell’Azienda Sanitaria e il servizio attività sociali del Comune di Trento, dal 2012 alcuni richiedenti asilo convivono in case private con persone con problemi psichiatrici. Con oltre settanta patti di convivenza realizzati dal 2012 al 2015 e una cinquantina in atto, il Comune ora ha esteso il progetto a minori, anziani e persone con disabilità.
Interessante è anche l’iniziativa di un gruppo di infermieri volontari che grazie ad una donazione ha acquistato una villa con giardino a Valbrona (CO) e fondato l’Associazione “Lella” Moltani Onlus. Oltre ad ospitare sei famiglie di migranti con bambini, la villa è diventata un importante spazio di interazione e aggregazione per i giovani del paese dove si organizzano incontri, concerti ed eventi culturali.
Ma la sfida è continua e, come ci mostra la Cooperativa Sociale Cadore, per funzionare l’accoglienza deve lasciare spazio al confronto e coinvolgere attivamente la comunità ospitante. Nata per contrastare l’esclusione sociale e lavorativa delle persone più colpite dalla delocalizzazione del settore dell’occhialeria e attiva anche nel settore dell’accoglienza, la Cadore è riuscita e prevenire numerosi conflitti tra locali e immigrati grazie al dialogo continuo con i diversi attori del territorio e ha accompagnato un numero importante di richiedenti asilo verso l’autonomia, garantendone l’occupazione in ambiti diversi.
Questi menzionati sono solo alcuni dei tantissimi laboratori sociali realizzati grazie all’opera di mediazione di tante organizzazioni del Terzo Settore e grazie agli enti locali, che hanno saputo governare la paura, ascoltando e coinvolgendo attivamente i propri abitanti. Esempi che dimostrano come i famosi 35 euro giornalieri spesi per l’accoglienza in realtà, e con buona pace di chi la pensa diversamente, abbiano avvantaggiato soprattutto gli italiani.
Purtroppo, molte di queste iniziative d’indubbio valore sociale ed economico rischiano di scomparire. Le recenti politiche in materia di accoglienza e immigrazione stanno minando la sopravvivenza di tutte quelle piccole organizzazioni di terzo settore dedite all’accoglienza che, rifiutandosi di offrire un mero servizio di ospitalità alberghiera penalizzante per l’inclusione e l’integrazione, hanno deciso di non partecipare ai bandi prefettizi che seguono lo schema di Capitolato licenziato dagli uffici del Viminale lo scorso 20 novembre (prot. N. 14801/2018).
Cancellando il permesso di soggiorno per motivi umanitari, la legge 1 dicembre 2018, n. 32 (G.U. 3 dicembre 2018), di conversione del così detto decreto sicurezza-immigrazione (legge 4 ottobre 2018 n. 113), sta inoltre mettendo a rischio la sostenibilità delle imprese sociali che fanno assegnamento sulle competenze di quei richiedenti asilo che non otterranno lo status di rifugiato o la protezione sussidiaria. E così facendo sta condannando alla clandestinità un numero crescente di lavoratori immigrati, formati e regolarmente assunti, e sottraendo risorse all’erario.
Se l’impatto del decreto è negativo per le piccole organizzazioni, le imprese, i richiedenti asilo, la spesa pubblica e i territori ospitanti, non lo è certamente per i grandi centri che continueranno invece a fare la parte del leone nel business dell’accoglienza.
Un piano costruito a tavolino con obiettivi ben definiti: fomentare rancore e paura facendo leva sull’esclusione sociale generata dalla mala o mancata accoglienza.
Tutto questo nell’inconsapevolezza generale, della politica e dell’opinione pubblica: il fenomeno migratorio non si ferma con decreti e circolari e facendo la faccia cattiva, ma è destinato a continuare per molti anni. Ed è solo dai territori virtuosi e accoglienti, dove hanno preso forma concrete esperienze di rigenerazione comunitaria e territoriale, che si può e si dovrebbe ripartire per governarlo viceversa nell’interesse degli stessi abitanti.
Giulia Galera e Carlo Borzaga
Euricse (Istituto Europeo di Ricerca sull’Impresa Cooperativa e Sociale, con sede a Trento)
27 Giugno 2019 at 09:56
Sono d’accordo con gli autori dell’articolo solo parzialmente. Quanti piccoli imprenditori italiani sia nel campo agricolo o del turismo e anche piccole officine potrebbero soppravvivere meglio ed assumere altre persone italiano o straniere con il sostegno dello Stato di 35000 euro a testa ? Ernesto Brambilla Villasanta MB
9 Luglio 2019 at 10:28
Buongiorno
Sono assolutamente d’ accordo con Lei.
Ho 2 esempi nella zona in cui vivo.
1 e’ la casa accoglienza di Lella Molteni in VALBRONA provincia di Como.
2 la parrocchia di DON GIUSTO
REBBIO-COMO-
BUON LAVORO