di Giampietro Cavazza
(presidente del Centro culturale Francesco Luigi Ferrari di Modena)
Spesso si contrappone la crescita allo sviluppo: mentre alla prima si attribuiscono caratteri prevalentemente quantitativi corrispondenti ai beni materiali, al secondo si attribuiscono caratteristiche qualitative legate ai beni cosiddetti immateriali. E’ opinione diffusa, poi, che vi sia una correlazione diretta di causa effetto tra crescita economica e sviluppo civile mentre è evidente che la prima rappresenta una condizione necessaria ma non sufficiente per determinare il benessere di larga parte della popolazione. Da questo punto di vista è preferibile parlare di interdipendenza in quanto la relazione tra crescita economica e sviluppo può assumere diverse combinazioni, ad esempio mentre una cresce l’altra peggiora, e possono procedere a velocità diverse determinando, pertanto, esiti diversi: disoccupazione piuttosto che occupazione.
Tra i fattori che sostengono la crescita economica vengono unanimemente collocate le innovazioni che danno luogo a nuovi consumi e a nuovi materiali ma anche a nuova occupazione. Le innovazioni, sia di prodotto che di processo, si traducono in un aumento della produttività che a sua volta si riflette in parte in una crescita della produzione e in parte in una diminuzione del tempo di lavoro. L’aumento della produttività fa crescere il reddito individuale che a sua volta si traduce in un aumento del monte fiscale, al lordo delle evasioni e delle elusioni, con una maggiore potenziale redistributivo da parte dello Stato.
Se le innovazioni determinano una crescita del prodotto nazionale e questo cresce ad una velocità inferiore alla produttività la disoccupazione tende ad aumentare come nel caso di un aumento dell’offerta di lavoro dovuta a fattori demografici o ad una crescita di coloro che sono in cerca di lavoro.
Pertanto è l’interazione tra innovazione, crescita e offerta di lavoro che determina l’andamento dell’occupazione.
A questo punto ci si può chiedere che cosa ha o sta ostacolando lo svolgersi di tale dinamica che avrebbe effetti positivi diffusi.
Innanzitutto lo spreco o, detto in altro modo, investimenti sbagliati sia nel settore privato che in quello pubblico nei titoli spazzatura piuttosto che nell’innovazione, in opere mai portate a termine o inutilizzate piuttosto che nella ricerca e la formazione. Ma anche una iniqua redistribuzione della ricchezza che ha privilegiato le rendite finanziarie a scapito del lavoro. Non ultimo fenomeni speculativi che hanno fatto crescere il costo del denaro sia per le imprese che per le famiglie ma anche per lo Stato.
Queste poche righe servono per dire che l’obiettivo della crescita è un obiettivo necessario e non fine a se stesso, ma lo è nella stessa misura anche l’innovazione in quanto incide sulla produttività quindi sulla competitività internazionale e sulla creazione di nuovi posti di lavoro e di nuove attività.
Pertanto occorre la stessa determinazione nel perseguire politiche verso la crescita, l’innovazione e l’offerta di lavoro istruito e formato che non può essere motivata soltanto da fattori economici. Le politiche per l’occupazione, in particolare giovanile, sono necessarie non solo per un fattore meramente economico ma anche, per non dire soprattutto, per un fattore di senso, di costruzione della propria identità personale oltre che collettiva.