di Giancarla Codrignani
Forse la scuola doveva ribellarsi quando il governo Meloni ha cambiato il nome del Ministero: Ministero dell’Istruzione e del merito. Istruzione non più pubblica, “merito” non quello previsto dall’art.34 della Costituzione che prevede che i capaci e meritevoli, anche se privi dimezzi, hanno diritto di raggiungere i gradi più alti degli studi, compresi gli immigrati e il loro diritto a conservare la lingua di famiglia e a conoscere al meglio l’italiano e compresi gli handicappati che hanno diritto a diventare il più uguali possibile.
Infatti l’impostazione nazionalistica prevale anche quando il ministro usa favorire l’integrazione degli studenti stranieri dentro la coscienza di una comune identità italiana come parte della civiltà europea e occidentale e l’appartenenza alla comunità nazionale definita Patria. Confesso di non essere entusiasta di quella “patria” che ricorda, mascherandosi sotto la falsità del genere, il patriarcato. Ma sono ben certa che la cittadinanza europea è un nuovo diritto del cittadino italiano.
Ma il nuovo testo dell’ora di educazione civica obbligatoria è inaccettabile: siamo già dentro il regime del premierato e perfino la convivenza civile in cui prevalgano il diritto e non l’arbitrio in cui è fondamentale la responsabilità individuale che non può essere sostituita dalla responsabilità sociale, auspica il buon ordine in cui i sindacati non fanno sciopero, tanto meno gli studenti.
Posso partire dal fondo e dire che non sono d’accordo nemmeno sulle pratiche didattiche di cui si continua a parlare senza grande costrutto: lo smartphone sarà vietato anche a fini didattici fino alle superiori. Ma è noto che i bambini e i ragazzi lo usano fuori dalle aule, con consenso della famiglia, i cui membri – genitori e nonni – non hanno mai imparato che è uno strumento da usare perché serve e non per contattare i social e le chat. Insegnarne l’uso corretto può far sì che i bambini siano educatori in famiglia, come quando impongono le regole ecologiche che hanno imparato da bravi insegnanti. L’uso stesso del digitale non è etico (altra preoccupazione di Valditara) senza la conoscenza tecnica dei mezzi e della scienza che li ha predisposti.
Preoccupa profondamente che esalti la valorizzazione della cultura del lavoro fin dalla prima elementare senza menzionare i diritti. E che sulla cultura “di genere” si limiti a ricordare che si rafforza e si promuove la cultura del rispetto verso la donna, come la scuola non fosse fatta di bambine e bambini, ragazze e ragazzi e magari maestre e maestri.
Peggio di tutto, tuttavia, è l’assenza di un minimo di attenzione – si tratta di scuola! – al sapere e alla conoscenza. Che sono il gratis che eroga la scuola pubblica, fanno crescere, rendono umani, superano le frontiere dell’umanistico e dello scientifico, sostengono la creatività, il piacere di imparare, il senso della comunicazione, la scoperta del fatto linguistico, l’immagine e l’immaginario. Cioè la scuola. Le ideologie sono altro, al massimo scuole di pensiero.
Ma la libertà dell’individuo non può conformarsi a un esistente fatto di un merito che allude al denaro, al mercato, alle merci, compreso l’uomo di domani che è il bambino a cui gli insegnanti debbono insegnare “un’educazione civica” che – sta proprio nelle prime righe – dia “valorizzando principi quali la responsabilità individuale e la solidarietà, la consapevolezza di appartenere ad una comunità nazionale, dando valore al lavoro e all’iniziativa privata come strumento di crescita economica per creare benessere e vincere le sacche di povertà, nel rispetto dell’ambiente e della qualità della vita”. Siamo all’assistenzialismo anche educativo. L’insegnante, infatti, evidenziata l’importanza della crescita economica, nel rispetto dell’ambiente e della qualità della vita dei cittadini, poi deve insegnare promozione dell’educazione finanziaria e assicurativa, dell’educazione al risparmio e alla pianificazione previdenziale, anche come momento per valorizzare e tutelare il patrimonio privato.
Che evidentemente, dopo aver ridotto al lumicino la sanità (qui menzionata ma, al solito non come diritto alla salute), celebra la positività di un sistema privatistico destinato a corrompere la scuola della nostra Costituzione.