Uscire dal sistema di guerra

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“Beati gli operatori di pace perché saranno chiamati figli di Dio
Beati quelli che hanno fame e sete della giustizia perché saranno saziati
Beati i miti perché erediteranno la terra”
(Mt. 5, 9.6.5.)

Uscire dal sistema di guerra
La nonviolenza in azione per pace, giustizia e cura della casa comune

Pace, giustizia e cura della casa comune: sono i beni universali e i grandi  obiettivi del movimento ecumenico e interreligioso dal Concilio Vaticano II all’Assemblea di Basilea (1989), dalla Carta ecumenica di Strasburgo (2001) alle iniziative del Consiglio Ecumenico delle Chiese, dai movimenti per “un altro mondo è possibile” a quelli per il futuro della terra, dagli incontri interreligiosi di Assisi (dal 1986) al documento di Abu Dhabi (2019). Molti ci hanno preceduto in questa strada cercando di invertire la direzione di una storia carica di orrori e divisioni ma anche di “sogni diurni” e di speranze. A loro va la nostra gratitudine e il nostro operante pensiero. Ma c’è da assumere “un compito immenso e nobilissimo”, come ha detto Giovanni XXIII nella Pacem in terris (87) da cui, a sessant’anni dalla pubblicazione, papa Francesco propone di ripartire attuando i quattro pilastri della nonviolenza: la forza della verità, la fame di giustizia, l’impegno per la liberazione, il potere dell’amore (9 gennaio 2023). Per questo occorre cambiare paradigma antropologico ed etico, culturale e sociale, economico e politico, teologico ed ecclesiale.

Come è possibile essere credibili, come credenti e come cittadini e cittadine, in un mondo ferito, ingiusto e degradato? Come è possibile rendere credibile l’annuncio della nonviolenza evangelica?  Come è possibile intervenire sulla spirale di morte di popoli aggrediti costretti a difendersi perpetuando il conflitto, di minoranze violate che rischiano l’annientamento, di interi Paesi stretti nella morsa della guerra civile, della corruzione e dell’illegalità? Com’è possibile oggi, nel pieno di un terribile dramma ecumenico, testimoniare la fede in Cristo “nostra pace” (Ef 2)?. Cosa vuol dire costruire comunità disarmate e disarmanti? Cosa vuol dire diventare una Chiesa in uscita?

 

PROPONIAMO  ALCUNE SCELTE OPERATIVE DI USCITA

La Rete associativa che sta accompagnando il percorso sinodale dei vescovi italiani e di tutta la Chiesa ritiene necessario tradurre la riflessione teorica in alcune scelte operative. Ne elenchiamo quindici.

PER LA PACE

  1. Uscire da una formazione che ignora la pace e la nonviolenza

 Nei seminari, nelle Facoltà di Teologia, nella preparazione dei presbiteri, delle religiose e dei religiosi, in ogni luogo di formazione il tema della pace e della nonviolenza sia messo al centro dell’insegnamento, aperto non solo al messaggio del Vangelo, ma al pensiero e alla pratica dei profeti e delle profetesse della nonviolenza, alle vicende contemporanee, alle esperienze dei movimenti e della società civile in Italia e nel mondo.

Ai catechisti e alle catechiste, ai presbiteri, ai vescovi, a tutti e a tutte  proponiamo di sviluppare i momenti ecclesiali e celebrativi, nonché gli itinerari educativi e gli strumenti pedagogici, per condurre ragazzi e ragazze, giovani e adulti, gruppi e famiglie alla maturazione di una coscienza nonviolenta, attiva e creativa, poliedrica e inclusiva.

 

 

  1. Uscire da una teologia ripiegata sul privato

A sessant’anni dalla Pacem in terris, nonostante qualche eccezione, non si è realizzato un salto in avanti sul piano teologico del valore della pace alla luce del Vangelo e della vita di Gesù nonviolento. La pace è stata presentata come capitolo della morale personale, non come sostanza  e cuore dell’annuncio cristiano.

Il discorso non è settoriale. In tale contesto, occorre rinnovare e trasformare tutta la teologia riflettendo sulla possibilità di “una teologia dal volto pubblico” attenta a cogliere i segni dei tempi, ad esercitare lo spirito critico, ad aprire e gestire i conflitti, ad assumere le sfide dell’umanità, a immaginare un futuro ospitale, giusto e nonviolento. La teologia femminista si è rivelata, al riguardo, adatta a rileggere in modo diverso e ampio i testi biblici, a scoprire il ruolo delle donne, a evidenziare i meccanismi palesi od occulti dei dispositivi del potere patriarcale.

Le Facoltà teologiche, le agenzie formative, i seminari, le scuole e le università devono mettersi nelle condizioni di elaborare una nuova teologia. Se il sapere teologico pone al centro la pace del Vangelo, potrà scoprire il valore fecondo del principio e del metodo della nonviolenza capace di promuovere relazioni conviviali.

 

  1. Uscire da una pastorale paternalista

E’  bene ricordare che nella Chiesa siamo uguali, differenti, conviviali e che è necessario attraversare e gestire in conflitti per maturare assieme una “comunione nelle differenze” (Evangelii gaudium 230). Riteniamo, quindi, necessario accompagnare la riforma delle strutture ecclesiali e le numerose azioni per il disarmo, la giustizia e la cura del creato con percorsi di educazione ai conflitti e a pratiche di riconciliazione, studiando e preparando programmi ecclesiali (diocesani, parrocchiali e territoriali) che facciano della pace nonviolenta la sostanza della pastorale ordinaria e della vita comune. Per integrare la nonviolenza evangelica nella vita ecclesiale, diventa necessario una costante e fresca “parresia” per superare ogni ideologia discriminatoria ed escludente.

In tale contesto, sembra significativa l’ipotesi di esplorare forme stanziali o itineranti, singole o a coppie, di “diaconia per la pace” come ministero per il disarmo delle menti, dei cuori e dei territori, da attuare in vari ambiti: celebrativi, oranti, festanti, educativi, testimoniali, esperienziali.

 

  1. Uscire dalla corsa al riarmo e dal possesso delle armi nucleari

 

E’ l’ora di una mobilitazione grande e multiforme contro il riarmo del proprio paese e a favore del Trattato per l’abolizione delle armi nucleari, approvato dall’ONU nel 2017 e ratificato da molti paesi all’inizio del 2022. Vari paesi europei, Italia compresa, non solo non hanno aderito al Trattato ma si apprestano ad “aggiornare” le armi nucleari presenti nei loro territori. In Italia esistono circa 60 armi nucleari (B 61) dislocate a Ghedi e Aviano che stanno potenziando le loro strutture per ospitare i cacciabombardieri F-35 in grado di  trasportare nuovi ordigni atomici più potenti (B 61-12).

Sulla scia dell’Appello promosso da molte associazioni cattoliche, è auspicabile che la Conferenza episcopale italiana si pronunci a favore dell’adesione dell’Italia al Trattato di proibizione delle armi nucleari. La Chiesa italiana, nel suo processo di discernimento sinodale, dovrebbe esprimere in modo organico la sua parola profetica sulla politica militare del nostro paese. I credenti, coerenti con il Vangelo della pace, devono intervenire a tutto campo per bloccare la corsa alle guerre, la distruzione del pianeta, l’uso e il possesso delle armi nucleari. Per amore della vita, della famiglia umana, della madre terra, del cosmo intero, occorre fermare questo macabro regresso di umanità.

 

  1. Uscire dal sistema delle banche armate

 La CEI, le diocesi, le parrocchie, gli Istituti religiosi, le associazioni di fedeli riconosciuti e i singoli e le singole credenti escano dai rapporti con banche, istituti di credito e dal sistema finanziario in generale che finanziano o comunque sostengono, anche mediante partecipazioni azionarie, industrie, società  di ricerca, di produzione e di commercializzazione di armi di qualunque tipo e di sistemi d’arma. Non accettino sponsorizzazioni da questi gruppi economici e di ricerca. E’ importante sostenere la Campagna promossa dalle tre riviste Missione Oggi, Nigrizia e Mosaico di pace. Si può vedere, al riguardo, il sito https://www.banchearmate.org/

 

  1. Uscire dal sistema dei cappellani militari

 L’assistenza spirituale al personale militare può essere assicurata da cappellani “senza stellette” non inquadrati nelle Forze armate.

Lumen gentium 1: “La Chiesa è in Cristo come un sacramento o segno e strumento dell’intima unione con Dio e dell’unità di tutto il genere umano”. Gaudium et spes 76: “La Chiesa si serve delle cose temporali nella misura che la propria missione lo richiede. Tuttavia essa non pone la sua speranza nei privilegi offertigli dall’autorità civile. Anzi essa rinunzierà  all’esercizio di certi diritti legittimamente acquisiti, ove constatasse che il loro uso potesse far dubitare della sincerità della sua testimonianza o nuove circostanze esigessero altre disposizioni”. Al Convegno della Chiesa italiana di Firenze (novembre 2015), papa Francesco dichiara: “non dobbiamo essere ossessionati dal ‘potere’ anche quando questo prende il volto di un potere utile e funzionale all’immagine sociale della Chiesa. Se la Chiesa non assume i sentimenti di  Gesù, si disorienta, perde il senso”.

La “terza guerra mondiale a pezzi” dentro il sistema gigantesco di ingiustizia e di complicità ci spinge a vedere gli strumenti bellici e le ipotesi di guerra “con una mentalità completamente nuova” (Gaudium et spes 80) anche in ambito ecclesiale tanto più che il Concilio invita i sacerdoti presenti tra i soldati a operare in ambito diocesano (Christus dominus  43)

Il venerabile Tonino Bello, intervistato da “Panorama” il 28 giugno 1992 sui costi economici relativi all’integrazione organica dei sacerdoti nelle strutture militari, si dichiarava sensibile soprattutto ai costi relativi alla credibilità evangelica ed ecclesiale. Per lui, e per noi, è necessario mantenere un servizio “pastorale” distinto dal ruolo militare. “Accade già nelle carceri”, osservava: “non si vede per quale motivo non potrebbe accadere anche nelle forze armate. Cappellani sì, militari no”. E’ arrivata l’ora di una testimonianza evangelica limpida e radicale per superare la presenza strutturata dei sacerdoti nell’esercito, con il gesto unilaterale di uscita dall’attuale sistema dei cappellani militari.

 

 

PER LA GIUSTIZIA

 

  1. Uscire dal precariato e dalle discriminazioni, anche di genere

 

Nei rapporti di lavoro, di qualunque natura, stabiliti con chiunque, diocesi, parrocchie, istituti religiosi, associazioni e imprese di ispirazione religiosa devono rispettare tutte le norme sul lavoro e sulla prevenzione degli infortuni, uscire dalla precarizzazione del lavoro con regolari contratti, anche per le collaboratrici e i collaboratori. Devono in particolar modo assicurare la dignità di lavoratori e lavoratrici, la libertà di pensiero e di espressione, i principi di non discriminazione (genere, nazionalità, religione). Particolare attenzione sia data alle lavoratrici madri. Si faccia la Chiesa italiana promotrice al proprio interno di un sistema di lavoro e di sicurezza sociale realmente di giustizia.

 

8. Uscire dal sistema della violenza e degli abusi sessuali

 

La violenza, le molestie e gli abusi sessuali contro chiunque, non solo contro le donne e i minori, e da chiunque perpetrati nell’ambito di realtà comunque affidate ad autorità religiose non devono essere in alcun modo tollerati. La denuncia, la collaborazione attiva per assicurare giustizia alle vittime, la prevenzione della violenza e degli abusi devono diventare una priorità assoluta.

Si sottolinea in particolar modo la necessità della prevenzione, uscendo senza esitazioni da una cultura, da un linguaggio, da una narrazione di carattere sessuofobico che ledono la dignità e l’integrità  delle persone. La formazione e la creazione di ambiti e stili di vita non discriminanti sul piano del genere e dell’orientamento sessuale costituiscono percorsi necessari e urgenti.

 

  1. Uscire dai sistemi discriminanti secondo il genere e l’orientamento sessuale

 

L’uguaglianza e la pari dignità delle persone siano finalmente assunti come riferimento per le attività, gli stili di vita, le elaborazioni teoriche. Un’attenzione fondamentale sia data alle famiglie, a tutte le famiglie comunque fondate sull’amore, sul rispetto e la dignità di tutte le persone che la compongono. Non si pongano in essere pensieri, atti e culture che discriminano i minori in funzione delle famiglie in cui sono accuditi e vivono.

 

  1. Uscire dal sistema degli scarti di religiosi e religiose che hanno abbandonato

 

L’accoglienza venga sempre assicurata a coloro, presbiteri, religiosi e religiose, che per i motivi più diversi hanno lasciato il ministero o la congregazione ma non la fede. Si esca dal sistema di norme ecclesiali che ledono il senso di dignità e l’accoglienza che il messaggio evangelico assicura a tutti e a tutte. Si tenga conto delle loro difficoltà esistenziali ed economiche. La Chiesa non può più predicare l’accoglienza verso l’esterno, se non è in primo luogo accogliente verso i suoi stessi membri, anche quelli che l’hanno lasciata. In primo luogo non si tagli fuori dalle relazioni ecclesiali chi è in uscita, ignorando totalmente il suo percorso e la sua attività a servizio del popolo di Dio. L’accompagnamento, il sostentamento di chi ha lasciato non venga affidato unicamente alla discrezionalità dei vescovi. Il patrimonio di studi, di esperienza e di servizio sia riconosciuto anche socialmente ed economicamente. Si sottolinea in modo particolare la particolare criticità delle persone di nazionalità straniera che in caso di uscita si trovano ad affrontare difficoltà ancora maggiori. La Chiesa non può essere all’origine di scarti umani.

  1. Uscire dal clericalismo

 Alla luce dell’esperienza di tante comunità cristiane, la figura del “sacerdote”, cioè del presbitero, va ripensata alla luce dei bisogni spirituali delle comunità cristiane. Non di autorità, ma di figure di esperienze e di accompagnamento hanno bisogno queste comunità. Il clericalismo che affida “potere” alla figura del “sacerdote” va superato con figure al servizio delle comunità scelte senza discriminazione di genere e di orientamento sessuale.

 

 

 LA CURA DELLA CASA COMUNE

 

  1. Uscire da attività non sostenibili per l’ambiente

 Diocesi, parrocchie, istituti religiosi, associazioni e imprese di ispirazione religiosa devono rispettare la Casa comune nello svolgere le proprie attività di qualunque natura. Ciò non vale solo per le attività produttive, si pensi in generale ai trasporti (quali mezzi vengono usati relativamente all’emissione di CO2?), alle produzione e gestione dei rifiuti, alle energie utilizzate e ai loro consumi, ai prodotti chimici utilizzati per i terreni coltivabili.

 

  1. Uscire dal consumo dei suoli e dall’abbandono dei terreni coltivabili

 

Le diverse entità religiose considerino attentamente il consumo dei suoli, di nuovi terreni, poiché altera l’equilibrio climatico e ambientale. Si valorizzino il più possibile gli edifici esistenti. Il patrimonio immobiliare delle diverse entità religiose sia gestito e mantenuto con criteri sostenibili per l’ambiente.

Diverse proprietà delle entità religiose comprendono terreni coltivabili. La diminuzione delle vocazioni e del personale si traduce nella difficoltà di continuare a coltivare terreni agricoli. In alternativa alla vendita ad entità con scopro di lucro si promuovano forme comunitarie e cooperative di coltivazione dei terreni agricoli, con particolare attenzione a metodi sostenibili.

 

  1. Uscire dalla dismissione commerciale del patrimonio immobiliare

 

Per far fronte a difficoltà economiche, talune entità religiose ricorrono all’alienazione di un patrimonio immobiliare costituito nel tempo grazie alla generosità delle comunità di credenti. Questi immobili, talvolta di pregio, siano sottratti alla speculazione del mercato e trovino opportune destinazioni, sostenibili per l’ambiente e la società, attraverso il coinvolgimento della comunità. Si pensi in particolare alla destinazione per uso sociale, ricreativo, culturale. Si pensi, per gli edifici destinati al culto, ai bisogni di comunità religiose non cattoliche, a spazi ecumenici e interreligiosi.

 

  1. Uscire dal dominio patriarcale e predatorio sui corpi, sulle coscienze e sui beni comuni

La conversione alla nonviolenza trasforma la politica come cura delle relazioni. Per attuarla occorre un impegno coerente per la trasformazione del “maschile”, indispensabile per una nuova civiltà delle relazioni contraria alla competizione per il potere e per l’accaparramento delle ricchezze, al dominio escludente e predatorio su corpi, coscienze e beni comuni. Tutto questo è “il creato”, composto da esseri viventi e da tutti e tutte noi, esseri umani. Giustizia e pace sono, devono essere, le forme del  nostro prendercene cura.

Questa pratica ci può mettere in rete con tutti e tutte coloro che la sentono come proprio dovere umano, con realtà come l’Associazione Laudato sì, con le Comunità Laudato sì, con tante altre e con i movimenti giovanili per il clima. In particolare, riteniamo importante aderire, ognuno con la sua identità e con ampia varietà di apporti, al progetto PER UNA COSTITUZIONE DELLA TERRA che sembra raccordare i temi di cui ci stiamo occupando: nonviolenza attiva, obiezione di coscienza, gestione nonviolenta dei conflitti, disarmo nucleare e tradizionale, riconversione dell’industria bellica, superamento dei cappellani militari e di vecchie e nuove pratiche patriarcali.  Per questo è  necessario fare rete a livello globale, cominciando dal Sinodo nazionale e da quello mondiale, dal contributo di tutte le chiese e di tutte le religioni.

 

CHIAMATA ALLA PACE

La pace va preparata, curata, sperimentata, organizzata. Davanti alla guerra in Ucraina oggi i credenti in Italia sembrano più attivi sui temi della pace ma riteniamo necessario esprimere alcune preoccupazioni.

Salvo eccezioni, la pace è collocata nel registro dell’edificazione personale, della tranquillità interiore o dell’esortazione generica. Non in quello della conversione al cuore del Vangelo e alla nonviolenza come forza profonda della nostra inedita umanità. Nelle conversazioni sinodali, purtroppo, la pace è ai margini. Nonostante un grande magistero pontificio, sviluppatosi nell’arco dell’ultimo secolo, fino a papa Francesco, e tante  testimonianze di operatrici e operatori di pace, molti credenti con i loro pastori sembrano incerti o distratti, forse indirettamente complici del sistema violento, o pronti a delegare il tema al papa. A livello istituzionale non esiste, ad esempio, un pronunciamento episcopale solenne contro le armi nucleari o contro il riarmo in atto, mentre l’ultimo documento dei vescovi italiani sulla pace risale al 1998 (Nota pastorale Educare alla pace). L’ecumenismo istituzionale sembra ancora impaurito, legato a logiche nazionalistiche e a vecchie teologie sulla “guerra giusta”. Sfugge la stretta connessione tra guerre, ingiustizia socio-economica e devastazione del pianeta.

 

La forza della nonviolenza

Davanti alla corsa mondiale agli armamenti, alle culture del nemico, alla crescita delle ingiustizie e alla distruzione ambientale, riteniamo necessario assumere la forza della nonviolenza come “bussola strategica” del nostro comportamento. E’ il programma delle Beatitudini. E’ la vita di Gesù Cristo che, schiaffeggiato, chiede conto del male ricevuto, denuncia ciò che è ingiusto, cerca di vincere il male col bene donando se stesso. Gesù praticava e predicava la politica delle relazioni, della solidarietà, della condivisione. Il messaggio dell’ultima cena è proprio l’invito a fare come lui, a spezzare il nostro corpo, la nostra vita, per condividerla con chi ha bisogno di gesti di solidarietà e di amore, di giustizia e di pace. La nonviolenza è una forza inclusiva e conviviale. E’ una forza storica sperimentata in molte occasioni e che ha prodotto più trasformazioni positive della forza armata (cfr. la bibliografia sulle lotte nonviolente del Centro Sereno Regis). Riteniamo necessario testimoniarla con attività di formazione, pratiche di riconciliazione, iniziative di gestione dei conflitti e di difesa nonviolenta, azioni di giustizia e di verità, atti d’amore.

Con questo spirito partecipiamo in vari modi al percorso sinodale fiduciosi nella possibilità di maturare come Chiesa un orientamento disarmante, un pensiero nonviolento, una pedagogia conviviale, pratiche di riconciliazione con la forza della verità, con la fame-sete di giustizia, con la passione della libertà e con il potere dell’amore. Per questo, alimentati da un’intensa preghiera, chiediamo allo Spirito di illuminare le menti, riscaldare i cuori, dare forza alle mani e di aiutarci a risuscitare un’alba di speranza.

Adista, Cammini di Speranza, Cipax-Centro interconfessionale per la Pace, CIF – Centro italiano femminile – Lombardia, Comunità Cristiane di Base, Comunità di via Germanasca, Coordinamento 9 Marzo, Coordinamento Teologhe Italiane, C3Dem, Decapoli, Donne per la Chiesa, Fraternità Arché, Il Gibbo, La Tenda di Gionata, Noi Siamo Chiesa, Noi siamo il cambiamento, Ordine della Sororità, Pax Christi, Per una Chiesa diversa, Ponti da Costruire, Progetto Adulti Cristiani LGBT, Progetto Giovani Cristiani LGBT, 3VolteGenitori, Viandanti.

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