Ancora non si sono esaurite le discussioni e le polemiche sul congresso di Verona sulla famiglia. Il mio giudizio al riguardo era e resta decisamente critico. A fare premio sul tema assolutamente centrale e sulle buone intenzioni di taluni suoi partecipanti stanno il sovraccarico ideologico e la strumentalizzazione politica – perfettamente voluta – da parte di una costellazione di sigle riconducibili a una destra illiberale italiana e non. Che ha cercato di inscrivere l’oggetto formale del congresso – la famiglia appunto – dentro una visione della società chiusa, gerarchica e autoritaria.
E tuttavia con il passare delle ore lievitano in me le riserve nei confronti di taluni argomenti branditi polemicamente da parte di certi suoi animosi critici. Una sorta di speculare dogmatismo.
Solo qualche esempio. In primo luogo, il concetto di famiglia. Ovvio che non ci si possa cristallizzare su una idea statica della famiglia “naturale”; che natura e cultura interagiscano e che, specie per quanto attiene alle relazioni coniugali e parentali, il costume e i modelli familiari abbiano conosciuto straordinari rivolgimenti. Soprattutto in positivo: dalla famiglia patriarcale alla famiglia centrata sugli affetti e sui rapporti paritari tra i coniugi, anziché su ruoli rigidi e relazioni gerarchiche. Ma non mi pare si sia autorizzati a concludere che “famiglie” al plurale possano essere definite indistintamente tutte le più diverse forme di convivenza. Tenere ferma la distinzione tra famiglia in senso proprio e altre unioni è utile dal punto di vista descrittivo (è sempre buona norma chiamare le cose con il loro nome proprio, il più preciso possibile) ed è cosa coerente con la Costituzione (art. 29), la giurisprudenza, le leggi. Le quali – pur apprezzando, riconoscendo e disciplinando altre forme di convivenza comunque buone ad assicurare stabilità, in quanto giovano all’affidabilità e alla coesione nel tessuto sociale – contemplano il “favor familiae”.
Secondo: le nostre società aperte e liberali sono un guadagno prezioso. Ma appunto in quanto liberali mettono in conto il pluralismo delle visioni della vita e della società. Nel quadro largo e comprensivo dei loro ordinamenti e nella loro cura di propiziare il libero dispiegarsi di quelle diverse visioni è legittimo e anzi va messo in conto che, per esempio, vi sia chi coltiva una concezione della famiglia più tradizionale o chi giudica l’aborto come la soppressione di un essere umano. Non è lecito? L’importante è non pretendere che tutti la pensino così o che si possa imporre per legge una e una sola visione. Dopo una lunga stagione nella quale, con qualche ragione, si è imputato ai cattolici la pretesa indebita di imporre per via legislativa modelli etici e familiari loro propri ma non socialmente condivisi, sarebbe paradossale che fossero essi a subire una sorta di censura dei propri liberi convincimenti e che, addirittura, dovessero vivere dentro un quadro culturale e normativo costringente che prescriva un’altra univoca visione. Si sancirebbe così il rovesciamento del paradigma liberale. La sana distinzione tra morale e diritto è un caposaldo dei regimi liberal-democratici. In Italia, per note ragioni storico-culturali, i cattolici hanno fatto fatica ad assimilare e praticare tale sana distinzione. Sarebbe sorprendente, ripeto, se oggi una pretesa impositiva di segno opposto fosse avanzata dalle elite laico-liberali che forgiano il mainstream.
Si è gridato ai “diritti sottratti”. Ripeto: non mi è piaciuto il mood di Verona e non nego che, complice la massiccia presenza di ministri di peso, si debba vigilare contro la tentazione di regredire nella legislazione. Anche se, almeno a parole, i politici in oggetto hanno dato assicurazione di non coltivare tale proposito. Ciò detto, sarà lecito a liberi cittadini, pur rispettosi delle leggi vigenti, di coltivare il convincimento che esse non coincidano con i propri soggettivi standard etici? Esemplare il caso dell’aborto. Come si può pretendere che chi, come si è accennato, lo considera come la soppressione di un essere umano non nutra riserve sulla legge che lo autorizza? Siamo di nuovo alla pretesa, di segno rovesciato, che la legge prescriva il pensiero unico? Anzi: da un punto di vita liberale si dovrebbe apprezzare che anche chi nutre convinzioni forti oggi minoritarie sia tuttavia rispettoso della legge di tutti e che magari la consideri conforme alla “giustizia possibile” ai fini della buona convivenza dentro una società pluralista.
Infine, una parola sulla sinistra. Essa si anima e si mobilita sui diritti civili asseritamente minacciati. Dopo una stagione di relativo appannamento delle differenze rispetto alla destra, su questo fronte la sinistra alza le sue bandiere. Sta bene. Solo non vorrei che alla ipersensibilità sui diritti civili (individuali?) corrispondesse una certa tiepidezza sui diritti sociali. Mi chiedo se la denunciata “rottura sentimentale” della sinistra con i ceti popolari e con i problemi che li affliggono nella loro quotidiana fatica di vivere non abbia a che fare anche con lo strabismo di essa in tema di diritti. Sia chiaro: i diritti tutti si tengono. Ma forse la sinistra farebbe bene a rammentare la lezione di Bobbio, per il quale la lotta alle disuguaglianze sarebbe la sua bussola identitaria.
Anche per questa via si contrasta il populismo e lo slittamento a destra dei ceti popolari.
Franco Monaco