Cominciamo il nostro percorso che ci porterà al nostro Convegno su Economia e Costituzione, del 29 novembre a MILANO.
A partire da questo testo di base per la discussione vogliamo provare a non cedere al pessimismo di chi non vede soluzioni o alla delega in bianco di chi le consegna all’esclusivo pensiero degli addetti ai lavori o degli esperti.
Confrontiamoci, invece, mettiamolo in discussione e arricchiamolo di contenuti, indicazioni utili, altri documenti e articoli da segnalare. Alla fine di questo percorso, aperto, trasparente e, soprattutto, costruttivo avremo prodotto – si spera – idee utili per un passo avanti.
Scrivete in questo spazio per i commenti, oppure mandate un email (anche solo per segnalare link o articoli utili, a info@c3dem.it.)
Nei prossimi giorni metteremo anche in forma grafica con una maggiore evidenza del dibattito in corso. Grazie e buona ripresa…
La «stella polare»della Costituzione ci aiuta ad affrontare la crisi economica?
Ripartiamo dalla Costituzione. Un coordinamento di esperienze associative del cattolicesimo democratico che si ispira a «Costituzione, concilio, cittadinanza», non può che tentar di esibire perché quel riferimento è vitale per il futuro. L’idea è semplice: nella Costituzione c’è il nocciolo di un progetto politico vitale, che potrebbe reagire con grande efficacia di fronte all’attuale crisi dell’economia e della convivenza sociale.
La Costituzione non è, infatti, solo un meccanismo di regole per la convivenza. Delinea nella sua prima parte un orizzonte di valori che sta di fronte a qualsiasi politica come un’ispirazione e un richiamo. Per noi questo richiamo non è superato, non è ininfluente, non è generico, non è pericolosamente sorpassato perché «di ispirazione sovietica» (come qualcuno ha detto non troppo tempo fa). Il nocciolo del progetto costituzionale nacque in un momento piuttosto lontano da oggi: il dopoguerra quando si doveva uscire dalle macerie non solo del conflitto, ma della «grande crisi» del capitalismo degli anni Trenta. Per far questo, i padri costituenti delinearono un modello avanzato di Stato sociale, che non è né Stato minimo né Stato onnipotente ed intrusivo. E che apriva una strada non così peregrina, dato che il continente europeo nella sua parte più avanzata ha percorso faticosamente nei sessant’anni successivi proprio l’itinerario tracciato con quelle parole: con alti e bassi, certamente, ma con un’efficacia ancora a nostro parere indubbia.
Il «cuore ideologico» della Costituzione sta come è noto nell’intreccio tra l’art. 2 e l’art. 3. Cioè l’affermazione della priorità dei diritti personalistici individuali e comunitari rispetto allo Stato (con i rispettivi doveri): quindi una piattaforma insuperabilmente pluralistica ed escludente ogni «Stato etico» e padrone. Bilanciata, però, da un altrettanto radicale principio di solidarietà «politica, economica e sociale», non affidata soltanto alla buona volontà dei singoli, ma espresso nella formula programmatica con cui lo Stato si incarica di un compito di superamento dell’uguaglianza formale verso un modello di democrazia sostanziale (la «rimozione degli ostacoli» alla piena cittadinanza). Solo in questo nesso inscindibile prende pieno valore la fondazione della repubblica sul lavoro (art. 1) e discendono in chiave logica e politica il diritto/dovere del lavoro (art. 4), il diritto alla giusta retribuzione (art. 36), la tutela delle inabilità (art. 38), la libertà sindacale e di sciopero (artt. 39-40), la libertà di iniziativa economica connessa al possibile coordinamento ai fini sociali (art. 41), la promozione della cooperazione (art. 45), il favore verso la partecipazione dei lavoratori nelle imprese (art. 46), la progressività fiscale (art. 53). E sono solo alcuni spunti che potrebbero senz’altro essere arricchiti.
La domanda per il futuro è quindi semplice: questo insieme di princìpi sono ormai invecchiati, sterili, superati dai fatti, condannati a un ineluttabile oblio? Oppure costituiscono ancora un punto di riferimento solido, non perché delineino necessariamente specifiche politiche, ma perché impongono di orientare in qualche misura qualsiasi politica e quindi tutte le scelte della collettività in una direzione specifica? Certo la nostra risposta a questa domanda non implica una visione totemica della costituzione come se avesse già dentro di sé tutte le risposte, ma esclude anche una visione riduttiva che escluda qualsiasi pregnanza dei principi rispetto all’analisi e all’azione.
Quanto questo orizzonte è potenzialmente incisivo rispetto all’attuale situazione di crisi economica e sociale? E’ chiaro che la risposta a questa domanda non può prescindere da un’analisi su quello che sta succedendo nel mondo negli ultimi anni. Se siamo d’accordo che ci troviamo in qualche modo di fronte a una crisi «sistemica» e non contingente, dobbiamo orientare la ricerca culturale e politica in una direzione forte. Consideriamo, infatti, in crisi irreversibile non tanto «il» capitalismo (concetto e realtà troppo sfuggente e proteiforme per dirci qualcosa di utile rispetto all’agenda politica), ma una specifica forma del sistema economico di mercato, nata una trentina d’anni orsono dalla risposta data nei paesi occidentali alla crisi del fordismo degli anni Settanta: il modello cioè della globalizzazione e della finanziarizzazione dell’economia. E’ in crisi la forma di economia centrata sul dominio della finanza e della logica finanziaria nel sistema produttivo, che ha portato con sé fenomeni come la riduzione ad oltranza del lavoro, il ridimensionamento di qualsiasi forma sociale ed economica collettiva, la delocalizzazione produttiva nei paesi emergenti, la riduzione del valore aziendale alla dimensione immediata del rendimento borsistico, la riduzione dei poteri di controllo e indirizzo statuali, il dominio dell’utilitarismo, la mobilità estrema del capitale connessa alla difficoltà imposta al movimento degli esseri umani. Da questa crisi occorre ripartire e porsi la domanda su come ricostruire un’economia che crei benessere e qualità della vita. La tradizione europea dello Stato sociale e l’esigente spinta ispiratrice della prima parte della Costituzione repubblicana ci possono aiutare ad affrontare questa sfida?
Questa è la domanda che ci sembra di poter porre agli esperti, ai tecnici, agli economisti, agli studiosi della società, agli operatori economici, ai nostri politici e ai partiti (se ancora esistono). Su questo vorremmo chiamare molti saperi e svariate competenze a misurarsi. Con urgenza e con dedizione, all’altezza della difficoltà dell’impresa.
23 Agosto 2014 at 12:45
Commento
Condivido tutto dell’articolo, e cerco di dare un piccolo contributo al richiamo alla necessità urgente “di rimettere in circolazione punti di riferimento valoriali e scelte da realizzare nei fatti”presenti nella nostra Costituzione e presenti nella rete C3dem, Costituzione, Concilio e cittadinanza. Ma quali sono le porte per entrare e proporre, praticamente, stili rinnovati ? E chi c’è dietro le porte? Chi comincia ( o continua) questo lavoro? Una delle porte per me è la Scuola (dai piccolissimi ai grandi). Ci sono già, al nord e al sud d’Italia, insieme a cose purtroppo antiche e perciò non stimolanti, centinaia di scuole che fanno cose diverse, piene di futuro (lavoro scolastico rinnovato, collaborazione col mondo esterno, valorizzazione delle diverse abilità all’interno delle classi, condivisione dei beni culturali e umani con i più deboli diversi e stranieri, apertura al territorio non episodico (mondo del lavoro, mondo artistico musicale teatrale, con la chiesa, e le Associazioni) Attività nate per raccogliere eredità trasformandole e..imparare a gestirle meglio, senza trascurare la “cultura” ma arricchendola di elementi nuovi. Occorre collegarci e collegare fra loro le esperienze (con video, siti, ecc. ),per farlei conoscere attraverso TV, stampa, siti ufficiali della P.I…., presentandoli con metodi adatti ai nostri tempi. Penso che la conoscenza di queste esperienze stimolerebbe e aprirebbe vie nuove a un mondo scolastico che in troppe occasioni non ha molta presa sopratutto nel mondo giovanile.
Questa mi sembra una delle porte. Per far ripartire, certamente con fatica, con stili rinnovati e pratici, un mondo scolastico, fatto come è giusto che sia non solo di principi scritti ma vissuti pienamente.
Certamente ci sono molte altre porte che occorrerebbe oltrepassare: quella della politica, della finanza, della chiesa conciliare, ecc. Ma questa della scuola mi sembra oggi la più praticabile e immediata, e… senza troppa spesa. Anche per contribuire a diffondere, in un orizzonte globalizzato, almeno nella scuola, con contenuti nuovi la nostra antica e specifica lungimiranza europea, fatta di ragioni della mente ma anche di azioni umanizzate.
Rachele Filippetto, maestra elementare in pensione
4 Settembre 2014 at 16:12
Sono d’accordo con lei che la crisi economica in corso porti inevitabilmente a rivedere gli articoli della Costituzione italiana che si riferiscono alla promozione sociale dell’uomo e della donna,ed alla pari dignità nell’accesso al lavoro,articoli che inauguravano anche in Italia quella forma di welfare state diffusosi in Europa nel dopoguerra e che rispondevano alle logiche della politica keynesiana dello stato interventista,del fordismo con il sostegno fornito alla grande industria e alla società dei consumi,obiettivi che oggi sembrano non più realizzabili,se non improponibili. A mio avviso per tentare di risolvere l’attuale stagnazione bisognerebbe fare un passo ancora più indietro, avendo di mira la produzione industriale e manifatturera europea ed italiana tra Medioevo e Rinascimento,quando non solo non mancava il lavoro ma i più bravi nel loro campo acquistavano un diritto ad insegnare agli altri le tecniche basilari di un mestiere, e ,soprattutto ad avere a disposizione i capitali necessari da investire nella produzione. Non basta,perciò un semplice “jobs acr”ma è necessaria una analisi analitica e dettagliata delle industrie,quelle che non sono ancora andate via dall’Italia,che per la loro storia,caratteristiche,qualità del prodotto,fatturato,innovazione,riescono a stare ancora sul mercato, aumentando la domanda interna e la produzione e far si’ che a queste non vengano a mancare i capitali da investire,inoltre rilanciare il manifatturiero e l’agricoltura,due settori che avevano raggiunto entrambi un buon livello in Italia,così come il turismo,i beni culturali,e le manifatture di pregio,infine migliorare i servizi come quelli alla persona,sanità amministrazione,giustizia e i servizi pubblici essenziali. E il lavoro di certo non mancherà a nessuno,invece che licenziamenti si verificherebbero nuove assunzioni e si ricreerebbe quel circolo virtuoso che le crisi e le guerre hanno malauguratamente spezzato.
4 Ottobre 2014 at 16:57
Appunti sparsi su una buona idea
Economia
La proposta di un convegno su Economia e Costituzione mi sembra assolutamente condivisibile, a cominciare dalla scelta di occuparsi di Economia. Quante volte mi è capitato di sentire nelle sedi più varie, magari sulle labbra di cristiani, la frase: “Non so nulla di economia, tuttavia…”! Come se un minimo di informazione sulla gestione delle risorse per il bene di tutti non fosse anche una forma di dovere civico e, per un cristiano, qualcosa che attiene, in ultima analisi, alla fratellanza con gli uomini! “L’essenza dell’economia sta proprio nella scelta di fronte alle alternative, alcune delle quali avvantaggiano determinati gruppi a spese di altri” (Stiglitz): questa scelta richiede certo la competenza degli studiosi e le opzioni motivate dei politici, ma, se vogliamo vivere autenticamente la nostra democrazia, richiede anche – come mette perfettamente in luce Vittorio Sammarco nel suo primo intervento – un minimo di condivisione e di competenza diffusa: in questo si gioca il nostro “concetto di cittadinanza”. Forse, ci fosse stata a suo tempo da parte degli italiani un poco di attenzione e di competenza in più riguardo a certe scelte economiche poco avvedute, non ci troveremmo ora a pagare le conseguenze dei decenni delle cicale.
Costituzione
“Questo insieme di princìpi sono ormai invecchiati, sterili, superati dai fatti?” No, non lo sono, ma con due limiti/novità non trascurabili:
a) Anche se ovviamente la Costituzione italiana non può pretendere di normare altro che lo Stato italiano, è chiaro che il contesto internazionale contribuisce a determinare ciò che accade in Italia (basti pensare alle conseguenze su di noi di ciò che accade in Africa, in Medio Oriente, in Libia): ad esempio, tentare di applicare un “radicale principio di solidarietà” non solo ai cittadini italiani, ma anche agli stranieri – come in qualche modo tutti noi vorremmo, credo – pone in essere una problematica nuova e abbastanza imprevedibile settant’anni fa. Il tutto in una situazione mondiale in cui le democrazie sono in sostanza minoritarie, e in cui ad esempio in Africa buona parte dei governi – specie quelli dei paesi più poveri – “sono solo apparentemente democratici e non garantiscono né i diritti basilari né le libertà delle persone” (Paul Collier, “Guerre, armi e democrazia”).
b) Per quanto riguarda l’Italia, spero che tutti o quasi si riconoscano nei princìpi della Costituzione. I problemi mi pare sorgano quando si tratta di implementare quei princìpi in decisioni concrete. Un solo esempio: sia i sostenitori del nuovo “contratto a tutele crescenti”, sia i suoi avversari ritengo si ripromettano di difendere il lavoro (il che vuol dire non solo tutelare quello già esistente, ma anche produrre le condizioni perché se ne crei di nuovo), giusta l’art. 1 della Costituzione. Ma è chiaro che le opinioni in merito sono discordi (e penso che questo valga per parecchi dei principi base costituzionali). Perciò, sì, è vero che la “stella polare della Costituzione ci aiuta ad affrontare la crisi economica”, ma essa ci lascia in qualche modo a metà del guado: l’altra metà tocca inevitabilmente a scelte di tipo politico.
Finanza, globalizzazione
E’ vero che “il modello della globalizzazione e della finanziarizzazione dell’economia”, che copre soprattutto gli ultimi trent’anni, è pieno di iniquità. Credo però che nel Convegno andrebbe chiarito – contro facili generalizzazioni che a volte (non nel testo di Sammarco) capita di sentire – che la finanza è comunque necessaria per produrre lavoro (basterebbe pensare a quanto costa creare un posto di lavoro ad esempio nella siderurgia, e al fatto che ad esempio i famigerati “derivati” possono servire sia a speculare, sia a coprire un investimento imprenditoriale dal rischio di cambio), e che la globalizzazione è un fenomeno complesso, pieno di rischi ma anche di opportunità (a patto di non farsi dettare l’agenda dal WTO): e qui non posso che rimandare a due libri “storici” di Stiglitz (“La globalizzazione e i suoi oppositori”, e “La globalizzazione che funziona”) e ad un bellissimo libro di Paul Collier (“L’ultimo miliardo. Perché i paesi più poveri diventano sempre più poveri e cosa si può fare per aiutarli”).
Che cosa mi aspetto dal convegno
Credo che il convegno abbia di fronte a sé due possibili strade: l’enunciazione di affermazioni di principio bellissime o anche di progetti condivisibili ma di dubbia realizzabilità, oppure l’analisi paziente e documentata della situazione concreta in cui siamo (per utile informazione di tutti i presenti), con l’indicazione di qualche realistico (e parziale, senza farsi troppe illusioni) tentativo di soluzione. Personalmente opto per la seconda strada (il che va nella linea di ciò, a fatica, sta tentando di fare il governo Renzi, ma naturalmente questo è un altro discorso).
Dario Maggi