Il direttore di Micromega, già promotore della stagione dei “girotondi”, voterà Renzi, alle primarie del PD, e Grillo, alle “politiche”. Perché è convinto si debba fare “tabula rasa” dell’attuale quadro politico, dominato, a suo dire, dalla partitocrazia berlusconiana bersaniana montiana napolitana. Immagino (e in ogni caso spero) che il sindaco di Firenze non gradisca molto questa sponsorizzazione, che nasce dalla voglia di vedere distrutto, nel timore di una prospettiva definita da Flores d’Arcais di “morta gora”, lo stesso Partito democratico. Il problema è che, a proposito di quest’ultimo, io temo davvero che la vittoria dello sfidante principale di Pierluigi Bersani, che farebbe felice il citato direttore, possa produrre, quale che sia la volontà del primo, una frattura irreparabile tra i “democratici”. Per ragioni che non è difficile intuire, giuste o sbagliate che siano.
Pur con una storia da “popolare” (ho militato nella DC, nel PPI, e nella Margherita), sceglierò allora l’”usato sicuro” soprattutto in ragione di ciò, e non soltanto, quindi, perché non gradisco il narcisismo e quella certa arroganza del “ragazzo” fiorentino, oltre che la sua crescente convinzione che non si debba più parlare di “destra” e di “sinistra”, e via discorrendo. Fermo restando, ovviamente, che condivido invece talune sue valutazioni critiche sullo stato del partito e della politica. Che è gravemente malata, non v’è dubbio, ma che non credo possa guarire, con buona pace del citato giornalista, previ robusti innesti di tessuto grilloide. Anche se ritengo che i seguaci del comico siano in buona parte persone brave e preparate. Ma lui domina, con atteggiamenti oltretutto obiettivamente dispotici, e, mentre appare a suo agio nelle azioni di rottura, dimostra di non avere le qualità minime per assumere un ruolo, quale che sia, di responsabilità istituzionale.
Voterò dunque Bersani, il quale, certo, ha, viceversa, le qualità necessarie per diventare presidente del consiglio dei ministri. Magari, a breve, il prossimo, dopo l’esperienza Monti. Che, diversamente da Flores, non considero tutta negativa, stante la difficile situazione che il Paese ha attraversato e sta attraversando (e che ha imposto e impone al presidente della Repubblica l’atteggiamento responsabile che sappiamo), pur se, non ho dubbi, le politiche del governo dei “professori” sono risultate sinora assai carenti rispetto all’obiettivo di una maggiore equità sociale.
La posizione di Micromega, che accomuna in un giudizio corrosivamente negativo Berlusconi (causa principale della nostra crisi, in verità), Bersani, Monti e Napolitano, è pertanto estremistica, e dunque inaccettabile. Va in ogni caso considerato che l’emergenza, per definizione, non può durare permanentemente, e che il frutto del governo attuale dovrebbe essere giusto quello di creare le condizioni per il successivo, pieno ritorno di un esecutivo più attento di quello “tecnici” a talune esigenze della politica intesa nell’accezione migliore del termine. In proposito, per fare un esempio, quelli sulle Province (un sistema che pur abbisognava di una profonda razionalizzazione) sono risultati provvedimenti un poco “pasticciati” proprio a causa di un’insufficiente visione politica della questione. Anche se sarebbe folle che il Parlamento, adesso, facesse il benché minimo passo indietro, in materia.
E d’altronde: quali che siano le voglie di prossime liste centriste a favore di un “Monti bis” (da cattolico democratico non mi sono entusiasmato affatto per “Todi due”), che certo non potranno essere “autosufficienti”, a me sembra che l’ipotesi di un nuovo esecutivo di “grande coalizione” (montiani, cattolici e non, PDL, PD), che duri e che risulti efficiente, sia irrealistica. La tenuta di quello attuale, pur costantemente sollecitata dal capo dello Stato, è risultata del resto assai faticosa perché le coalizioni di riferimento hanno visioni e obiettivi diversi. E nel futuro non sarebbe certo meglio, quale che sia la convinzione, nell’una parte e nell’altra, della necessità di una certa “continuità” programmatica anche nel dopo Monti. Situazione politica esplosiva, dunque, e opinione pubblica esasperata contro la “casta”. Che non è la sola, è vero, ma dovrebbe essere la prima a dare il buon esempio, come si diceva una volta. Questa insofferenza la constatiamo tutti, tutti i giorni. E’ banale dirlo, ma l’esito è che, ormai, si fa proprio di ogni erba un fascio, come afferma il proverbio. D’altronde, sono successe cose davvero dell’altro mondo, cose turche, verrebbe da dire, a riguardo, per esempio, dei costi della politica. Il problema è che, oltre a fatti clamorosi che potrebbero essere definiti, in un certo senso, “straordinari”, riguardanti la “patologia” (inutile riportare qui esempi), è il “sistema” ad apparire “naturalmente”, “fisiologicamente” malato. E perciò da rivisitare profondamente. Senza passare necessariamente dai Grillo. Senza pensare che è meglio che vada tutto “distrutto”, prima. Eppure, sulle “riforme”, quelle istituzionali in primis, la classe politica continua ad apparire sostanzialmente inerte, assente, rintronata, imbambolata. Quasi inconsapevole che, così, prepara la sua fine.
Le scelte da fare in argomento sono, peraltro, semplicemente evidenti, pur se, inevitabilmente, estremamente difficili. Partendo, diciamo così, dall’alto, bisogna: ridurre drasticamente, dopo che è stata conferita alle Regioni, dieci anni fa, una serie di competenze già dello Stato, il numero dei parlamentari. Ma anche le relative indennità (che per non pochi di essi non rappresenta la sola fonte d’entrata, tra l’altro) e i privilegi vari. Similmente, per tutta quanto sopra, per i consiglieri regionali. Ma la questione cruciale, nel caso delle Regioni, è quella di rivederne le competenze. Risolvendo, da una parte, il “pasticcio” delle materie di legislazione concorrente con lo Stato, che non è “federale”, e che pertanto non dovrebbe consentire sconfinamenti che comportino per esempio l’esigenza di costituire plurime sedi regionali all’estero, e altre attività di “politica estera” o affine, diciamo così, e dall’altra, impedendo sconfinamenti, invece, nel campo amministrativo, di competenza degli enti locali, Province e Comuni. E dunque precludendo centralismi regionali indebiti (Lombardia “docet”, in proposito). In un contesto istituzionale davvero “pulito”, nel quale ciascun ente fa soltanto ciò che gli compete, e non sconfina, appunto, la “guerra” al sistema Province (pur bisognoso di essere profondamente razionalizzato), che comporterà benefici piuttosto relativi, non sarebbe forse mai nata.
Le vicende lombarde, poi, pongono drammaticamente la questione del “limite dei mandati”, che dovrebbe essere esteso, tanto più di questi tempi, a tutti i livelli (perché vale unicamente per i Sindaci e i Presidenti di Provincia?). Troppo tempo al potere rischia di provocare troppe tentazioni. Tanto più in situazioni nelle quali l’attività lobbistica viene esercitata addirittura (qualsiasi riferimento è …puramente casuale) su singoli atti amministrativi, con le conseguenze del caso. In via generale v’è, infine, la spinosa questione dell’incandidabilità, in questi giorni all’attenzione del governo (e sappiamo che in proposito l’opinione pubblica chiederebbe di applicarla anche a coloro che sono stati soltanto –si fa per dire- rinviati a giudizio), dell’ineleggibilità, dell’incompatibilità, e dunque delle doppie cariche, eccetera.
Argomenti delicatissimi, quelli in questione, dicevo, sui quali il governo tecnico sta pur facendo qualcosina, essendo però ovvio che si tratta di temi che abbisognerebbero di una forte regia politica. Ecco perché il Partito democratico dovrebbe avanzare e sostenere con forza proposte sue, nel segno sopra indicato. Certo, non v’è più tempo in questa legislatura, e bisogna dunque pensare alla prossima. Io temo però che neppure il parlamento che uscirà dalle elezioni dell’anno prossimo, quale che sia, avrà il coraggio necessario, nonostante l’urgenza.
E’ per questo che, una volta tanto, io mi trovo d’accordo, perché la penso così da tempo, con Berlusconi, il quale, nei giorni scorsi, a riguardo delle riforme istituzionali ha affermato (opportunisticamente, conoscendo l’uomo?) che soltanto una sorta di nuova assemblea costituente eletta dai cittadini, e composta di “saggi” (ovviamente il termine sarebbe poi da declinare e precisare) potrebbe affrontare e risolvere il problema delle grandi riforme istituzionali. Fermo restando che toccherebbe poi al Parlamento (speriamo in bene!) approvare una serie di leggi applicative.
Vincenzo Ortolina